SSV-33 Ural

SSV-33 Ural: il titano da guerra elettronica

Un gioiello tecnologico. Una cattedrale nel deserto. Uno spreco di soldi che nemmeno un appalto truccato con fondi europei. Un esempio di inefficienza ai massimi livelli. Un simbolo della crisi dell’impero sovietico nei suoi ultimi anni di vita. La SSV-33 Ural è stata tutto questo. Probabilmente una delle navi da guerra elettronica e spionaggio più sofisticate mai costruite, ma con una carriera operativa talmente breve ed insignificante da essere quasi triste da raccontare.

Un colosso da oltre trentamila tonnellate a propulsione nucleare, che praticamente fece un solo viaggio (quello inaugurale) e poi rimase tutta la vita ormeggiato in una base della Flotta del Pacifico, aspettando che qualcuno decidesse cosa farne, usato come caserma galleggiante e per ricavarne pezzi di ricambio per altre navi.

Le origini della SSV-33 Ural

Fine anni settanta. La situazione internazionale era abbastanza complicata: gli Stati Uniti avevano deciso di schierare i Pershing 2 in Europa, che potevano essere lanciati con un preavviso brevissimo sul territorio sovietico, ed i vertici dell’Armata Rossa temevano un attacco atomico a sorpresa contro i comandi militari e politici del Paese. La decisione di invadere l’Afghanistan, nel 1979, non aveva certo contribuito a rasserenare gli animi. Insomma, i sovietici avevano la necessità di monitorare i lanci missilistici americani. In particolare, per la loro intelligence, una grande importanza aveva l’atollo di Kwajalein, che ospitava (ed ospita ancora oggi) un poligono per il test di sistemi antimissile, missili balistici, ecc.

Il problema, per i sovietici, era che loro non avevano basi per operazioni di spionaggio in grande stile in giro per il mondo (in effetti ne avevano solo una: quella di Lourdes, a Cuba), né numerose basi navali a cui appoggiarsi per mandare in giro le proprie navi in missioni di intelligence. Le stesse navi da spionaggio elettronico a loro disposizione non erano così sofisticate per svolgere questi compiti.

Per questa ragione, i vertici delle forze armate presero una decisione che avrebbe dovuto risolvere questo problema: costruire una gigantesca nave da guerra elettronica, equipaggiata con tutti i più moderni ritrovati nel campo, che fosse capace di spingersi ovunque ci fosse stato bisogno (coste americane, atolli del Pacifico, ecc.). Per azzerare i problemi di autonomia, si decise di utilizzare la propulsione nucleare.

La nave

Il risultato degli sforzi dei tecnici sovietici fu il Progetto 1941 Titan, che si concretizzò nella SSV-33 Ural. La costruzione iniziò nel giugno 1981 a Leningrado.

Ma come era fatta questa nave?

Lo scafo

Cominciamo dalle dimensioni: 265 metri di lunghezza per un dislocamento di 34.640 tonnellate a pieno carico. Per lo scafo, si decise di utilizzare lo stesso degli incrociatori lanciamissili della classe Kirov, che stavano iniziando ad entrare in servizio in quel periodo. L’impianto propulsivo era il medesimo: due reattori nucleari KN-3, molto simili agli OK-900 usati sui rompighiaccio atomici civili della classe Arktika. Questi erano capaci di sviluppare una potenza di circa 300 MW, per una velocità superiore ai 20 nodi. Facevano parte dell’impianto propulsivo anche due surriscaldatori a nafta KVG-2, anche questi dello stesso tipo dei Kirov. La differenza è che sugli incrociatori lanciamissili sono utilizzati per avere una potenza superiore quando necessario (in pratica, fanno andare la nave un po’ più veloce), mentre sulla Ural servivano per dare corrente alla nave nel caso in cui ci si dovesse ormeggiare in luoghi privi di generatori di energia idonei.

Una cosa importante. La Ural ed i Kirov erano due progetti diversi e non collegati tra loro. A volte, si trovano fonti che riferiscono di una presunta parentela tra le due classi di navi, o addirittura di un Kirov che sarebbe stato completato come Ural. Niente di più sbagliato: si tratta di cose completamente diverse. Queste due classi di navi, infatti, condividevano semplicemente lo scafo (e l’apparato propulsivo): non aveva molto senso svilupparlo da zero appositamente per una singola nave, visto che se ne aveva già uno perfettamente idoneo.

SSV-33 Ural in navigazione
La SSV-33 Ural in navigazione. Notare la grande struttura radar. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto. US Public Domain

Elettronica

La dotazione elettronica era il punto forte della Ural. L’apparato principale era il Coral, in fase di sviluppo fin dagli anni settanta. Si trattava di un sistema di radio ricognizione estremamente sofisticato, che unito a due supercomputer Elbrus e vari computer EC-1046, consentiva di sfruttare al massimo le informazioni captate grazie ai potenti radar di bordo. E queste informazioni erano veramente numerose.

La SSV-33 Ural era in grado di tracciare ed identificare con precisione razzi e missili di qualunque tipo, inclusi luogo di lancio e bersaglio. Non solo. Se si trattava di lanci sperimentali, i tecnici erano in grado di capire il peso della testata ed il tipo di combustibile utilizzato. Stesso discorso valeva per i satelliti (americani, ovviamente).

Per farla breve: la Ural era in grado di identificare, tracciare e raccogliere informazioni su qualunque oggetto volante nel raggio di 1.500 km.

Ma le sue capacità non si fermavano qui. Poteva svolgere missioni di guerra elettronica, captare le comunicazioni (quello che il Pentagono comunicava ai bombardieri strategici in volo ed ai sottomarini nucleari interessava moltissimo ai sovietici), funzionare come “nave per comunicazioni” ed ammiraglia della flotta.

Un vero mostro. La nave del resto era il risultato del lavoro di circa 200 tra complessi industriali, centri di ricerca ed istituti tecnici sovietici, ed il risultato si vedeva.

Il simbolo di questa potenza elettronica era ben rappresentato dalla gigantesca cupola radar a prua, di dimensioni veramente imponenti.

Armamento

La Ural non era indifesa. Certo, non sarebbe mai stata in grado di affrontare una portaerei o una grande unità di superficie, ma qualcosa nel suo piccolo poteva fare. L’armamento consisteva in due cannoni singoli AK-176 da 76 mm, quattro AK-630 (un cannone a sei canne rotanti da 30 mm capace di sparare 5.000 colpi al minuto), quattro impianti binati per mitragliatrici da 12,7 mm e quattro lanciatori quadrupli per missili antiaerei Igla (missili a corto raggio con una gittata massima di poco superiore ai 5.000 metri). Insomma, niente di troppo grosso, ma comunque avvicinarsi non era proprio il caso.

Nella parte poppiera, c’era una piazzola per elicotteri. La Ural, di suo, ne aveva in dotazione uno, un Kamov Ka-32.

AK-630
Un AK-630, un cannone a sei canne rotanti da 30 mm. La SSV-33 Ural ne imbarcava quattro. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Vitaly V. Kuzmin. CC BY-SA 4.0

Equipaggio

Adesso veniamo all’’equipaggio. Già, per far funzionare tutti questi strumenti ne occorreva uno numeroso, e molto qualificato. Complessivamente, a bordo vi erano quasi 1.000 persone, che per dirla tutta non se la passavano nemmeno troppo male. Infatti, visto che la nave era pensata per lunghe crociere, i progettisti inclusero una serie di confort niente male per una nave da guerra: sale biliardo, palestre, cinema, saune e pure una piscina. Insomma, dopo ore passate davanti ad un monitor ad esaminare missili americani, il marinaio sovietico medio poteva andare a sfogare il suo stress sollevando manubri da 30 kg.

La SSV-33 Ural in servizio

Il viaggio inaugurale

La SSV-33 Ural nave venne varata nel maggio 1983, ed entrò in servizio il 30 dicembre 1988. La NATO, come al solito, le diede un suo nome in codice: classe Kapusta, parola russa che vuol dire “cavolo”, per la forma della grande cupola radar. E poi dicono che gli analisti di intelligence non sanno scherzare…

L’anno successivo, la nave partì per il suo viaggio inaugurale, destinazione oceano Pacifico. Sarebbe rimasto il suo unico viaggio. I due mesi in mare furono impiegati per testare tutta la potente strumentazione di bordo, che fece il suo dovere. Il 20 settembre 1989, il Ministero degli Esteri giapponese comunicò che un’enorme nave atomica non identificata era arrivata ad ovest di Okinawa: fu così che gli occidentali vennero a conoscenza della destinazione finale della Ural (le informazioni militari diffuse dai sovietici erano praticamente nulle).

Le esatte caratteristiche della nave erano sconosciute in occidente, vista la segretezza che caratterizzava i sistemi d’arma sovietici. La stessa sigla SSV-33 era poco indicativa: si trattava infatti del codice identificativo delle navi per comunicazioni, che era utilizzato per “coprire” quelle con compiti di spionaggio. Insomma, niente che l’intelligence NATO non potesse scoprire da sola con un paio di foto.

La nave venne ormeggiata in una ridente località marittima chiamata Fokino, una città chiusa che è la principale base per navi di superficie della Flotta del Pacifico. E qui rimase.

Incrociatore Admiral Lazarev
L’incrociatore lanciamissili Admiral Lazarev (ex Frunze), della classe Kirov. La SSV-33 Ural con queste navi condivideva scafo ed apparato propulsivo. La Ural trascorse i suoi ultimi anni in attesa di demolizione ormeggiata accanto al Lazarev. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: PHC (NAC) John Kristoffersen. US Public Domain

L’ormeggio a Fokino

A Fokino, la Ural venne sistemata alla meno peggio. Infatti, nella base navale non c’era un molo abbastanza lungo per ormeggiarla in maniera appropriata, e quindi rimase in mezzo alla baia, con delle boe di ormeggio. La cosa grave è che la Ural era in buona compagnia: infatti, vi erano altre due navi che si trovavano nella stessa situazione: gli incrociatori portaerei Minsk e Novorossiyk, in servizio già da diversi anni nella Flotta del Pacifico. Inoltre, non potendo essere alimentata da terra, l’equipaggio era costretto a tenere accesi i motori di bordo per dare corrente a tutti i sistemi (i famosi KVG-2 di cui ho parlato precedentemente). In altre parole: la Ural era stata messa di base in posto che non aveva le infrastrutture per mantenerla. Non esattamente un esempio di efficienza.

Si trattava di una situazione complicata, ma sicuramente gestibile visto che la Minsk e la Novorossiyk erano operative da anni. Ma quello che decretò la fine operativa della Ural furono, nella sostanza, i costi operativi terrificanti ed una serie di problematiche tecniche.

Portaerei Novorossijsk
La portaerei Novorossijsk, appartenente alla classe Kiev. Lei e la sua gemella Minsk avevano lo stesso problema della Ural, ovvero la mancanza di un ormeggio adeguato. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: US Navy. US Public Domain

I Problemi della Ural

La SSV-33 Ural era un concentrato di tecnologia, a volte con “problemi di gioventù” visto che si trattava di sistemi relativamente nuovi, che necessitava di personale altamente qualificato in grado di gestirlo. L’equipaggio originale era estremamente competente, ma a partire dal 1989 le cose cambiarono. In quell’anno, infatti, in un’ottica di smilitarizzazione dello Stato, gli studenti vennero esonerati dal servizio militare. La cosa ebbe effetti catastrofici per l’operatività della Ural, visto che gran parte dell’equipaggio era composto da coscritti di questo tipo: ragazzi altamente addestrati e motivati che si ritrovarono trasferiti nella riserva. I sostituti non furono all’altezza, anche perché si trattava di apparati nuovi su cui c’era in generale poca esperienza.

Un altro problema era la cronica inaffidabilità della componentistica sovietica, che si rompeva con più facilità rispetto agli equivalenti occidentali. Quindi, la manutenzione doveva essere fatta più spesso.

La mancanza di risorse (l’economia sovietica nel 1989-1990 non se la passava bene) e di personale qualificato provocarono un rapido deterioramento delle apparecchiature della nave.

SSV-33 Ural ormeggiata
La Ural nel 1990, all’ormeggio a Fokino. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Роман Коротенко at Russian Wikipedia. CC BY-SA 3.0

Il declino della SSV-33 Ural

La Ural non si mosse più da Fokino. Dal suo ormeggio poteva monitorare praticamente tutte le comunicazioni del Pacifico settentrionale (per la gioia di Giappone e Stati Uniti), ma questa situazione durò poco. Nel 1990, un incendio nella sala motori di poppa fece parecchi danni, mettendo fuori uso uno dei due KVG-2. Il secondo si ruppe nell’autunno del 1991, e per un po’ si riuscì ad andare avanti con i generatori d’emergenza. Occorrevano riparazioni, era chiaro, non solo per i motori ma anche per la strumentazione di bordo che ormai funzionava sempre meno. Ma le condizioni economiche della Russia nei primi anni novanta erano drammatiche, e non c’erano le risorse necessarie per i lavori di manutenzione.

Quindi, nel 1992, i reattori vennero definitivamente spenti, e la nave utilizzata come caserma galleggiante, tanto da essere ironicamente soprannominata “portaletti a castello”.

Nel corso degli anni, venne ipotizzato diverse volte il recupero della Ural, con un suo rientro in servizio. Si è trattato più che altro di voci, e non si sa quanto la Marina Russa abbia mai effettivamente creduto ad una simile possibilità.

SSV-33 Ural ormeggiata
La Ural ormeggiata, probabilmente a Fokino. Notare la parte poppiera con il ponte di volo per l’elicottero. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Siegler. Public Domain

La radiazione

Nel 2001, la nave venne ufficialmente radiata e “parcheggiata” in un molo isolato, accanto all’incrociatore lanciamissili Admiral Lazarev, della classe Kirov (quella con cui la Ural condivideva lo scafo). Le due navi vennero lasciate ad arrugginire insieme, in attesa di essere demolite. Cosa non semplice, specie nel caso della Ural: nonostante infatti la potente nave da guerra elettronica fosse stata venduta per la demolizione nel 2010, le sue caratteristiche la rendevano eccessiva per i cantieri russi. In altre parole, non si sapeva dove demolirla.

Gli unici cantieri nelle vicinanze vicini erano quelli Zvezda, situati nella cittadina di Bolshoy Kamen (Grande Sasso in italiano), che non erano progettati per colossi del genere. I cantieri Zvezda, infatti, sono stati molto attivi fino agli anni 2000 nella demolizione dei sottomarini nucleari, che hanno una lunghezza massima di 170 metri (quasi 100 in meno rispetto alla Ural). Nel 2009, in seguito ad una serie di valutazioni economiche, si decise di ampliarli in modo da metterli in grado di demolire le grandi navi civili (tipo transatlantici, cargo e petroliere). E con l’occasione, pure le navi atomiche della marina radiate ed abbandonate.

La demolizione della SSV-33 Ural

La Ural attese pazientemente il suo turno. Che finalmente, arrivò dopo oltre 15 anni. 21 agosto 2016, ore 7:30: la nave partì per il suo ultimo viaggio (rigorosamente a rimorchio) verso i cantieri Zvezda, per la demolizione. Il suo vicino di molo, l’Admiral Lazarev, l’ha seguita nel 2021.

I suoi reattori nucleari, che sono praticamente nuovi (hanno funzionato pochissimo) dovrebbero essere utilizzati come riserva di pezzi di ricambio per gli OK-900 dei rompighiaccio classe Arktika (ricordiamo che gli OK-900 sono molto simili ai KN-3 della Ural).

La SSV-33 Ural concluse così la sua carriera operativa, riassumibile così: due mesi di navigazione, tre anni all’ormeggio usata come stazione da intelligence, nove come nave dormitorio, altrettanti radiata ed abbandonata e sei in attesa di demolizione. Una storia triste, ma che ben rappresenta la crisi (e l’inefficienza) dell’Unione Sovietica nei suoi ultimi anni di vita e le drammatiche condizioni della Russia dei decenni 1990 e 2000.

Dati tecnici

  • Costruttore: Cantieri navali Baltiyskiy
  • Tipologia: nave da guerra elettronica
  • Impostazione: 25 giugno 1981
  • Varo: maggio 1983
  • Ingresso in servizio: 30 dicembre 1988
  • Radiazione: 2001 (2002 secondo altre fonti)
  • Status attuale: demolita
  • Dislocamento: 34.640 tonnellate
  • Lunghezza: 265 m
  • Larghezza: 29,9 m
  • Pescaggio: 7,81
  • Velocità: 21,6 nodi
  • Autonomia: illimitata (propulsione nucleare)
  • Propulsione: 2 reattori nucleari KN-3 da 300 MW
  • Armamento: 2 x 76 mm; 4 x AK-630; 4 impianti binati da 12,7 mm; 4 lanciatori quadrupli Igla
  • Dotazione elettronica:
  • Equipaggio: 923

Fonti

(Immagine di copertina derivata da Wikimedia Commons. Credits: DoD. US Public Domain)

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