Portaerei volanti

Le portaerei volanti: quando un aereo trasporta un altro aereo

Quando si sente parlare di portaerei volanti, di solito, il pensiero corre sempre alla fantascienza. Come non pensare, ad esempio, alle helicarrier dei film con gli Avengers del Marvel Cinematic Universe?

In effetti, l’idea di un “aereo che possa trasportare altri aerei” è qualcosa di abbastanza futuristico, anche se non è così strana. O meglio, non è che qualcuno abbia realizzato cose tipo i film con i supereroi, ma qualcosa è stato costruito.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non siamo di fronte a vere e proprie portaerei volanti, ma ad “aerei parassita” che vengono trasportati da un “aereo madre“, un velivolo di grandi dimensioni più o meno modificato per lo scopo.

Questi “aerei madre” vengono definiti, a volte in modo un po’ improprio, portaerei volanti. Nell’articolo che segue, cercherò di fare un po’ di chiarezza

Premessa tecnica

I concetti di aereo madre ed aeromobile

Il punto di partenza è il concetto di “aereo madre“, ovvero un aeromobile capace di trasportare altri aeromobili. Notare che non ho utilizzato il termine aereo, ma quello di “aeromobile” che molto più generico. Spiego di cosa sto parlando, nel modo più semplice possibile.

Tutto ciò di artificiale che vola è chiamato aeromobile, che a sua volta si divide in aerostati (più leggero dell’aria) ed aerodine (più pesante dell’aria). Vediamo meglio.

  • Areostato: tutto quello che vola per “sostentazione statica”. Detto in altri termini, è più leggero dell’aria e “sale” in alto grazie al principio di Archimede. Ne fanno parte dirigibili e palloni aerostatici (tipo le mongolfiere).
  • Aerodine a sostentazione aerodinamica: volano grazie ad un’azione aerodinamica sulle superfici del mezzo. In termini più semplici: vi è un “organo sostentante” capace di muovere una massa d’aria verso il basso in modo da sostentare il volo. Questo organo può essere, ad esempio, un’ala (velivoli o alianti) o una pala (elicottero). L’aereo, come si sarà capito, è un velivolo. Se sfruttano l’effetto suolo, si parla di ekranoplani, che ho trattato altrove.
  • Aerodine a sostentazione per reazione diretta: la sostentazione viene assicurata da sistemi meccanici, e non richiede un moto relativo dell’aria rispetto al mezzo. Un esempio classico sono i motori a razzo (missili).
  • Aerodine a sostentazione mista: una via di mezzo tra le due categorie precedenti.

Aereo madre o portaerei volante?

Questa è una bella domanda. Da un punto di vista strettamente tecnico, le portaerei volanti sono una sottocategoria dell’aereo madre, che a sua volta è un concetto piuttosto ampio e si può riferire a varie situazioni. Approfondiamole.

  • Portaerei volante: un aeromobile capace di trasportare dei velivoli all’interno di un hangar apposito. In effetti, gli unici mezzi di questo tipo sono stati un paio di dirigibili statunitensi, che vedremo meglio dopo (e che, ve lo dico subito, fecero una brutta fine).
  • Aereo parassita: uno o più velivoli (di solito piuttosto piccoli) che vengono “agganciati” ad un aereo madre più grande, solitamente ad ali o fusoliera (sopra, sotto, accanto… Dipende da dove c’è posto). Gli esperimenti più audaci sono stati condotti dall’Unione Sovietica, che li ha anche usati in combattimento durante la seconda guerra mondiale. Visto che sono quasi sempre aerei da caccia, si parla anche di “caccia parassita“.
  • Aviolancio: un aeromobile viene trasportato agganciato ad un aereo madre e lanciato in volo. Cosa cambia con l’aereo parassita? Concettualmente è molto simile. Tuttavia, il termine “aviolancio” di solito si utilizza riferito a sistemi a razzo (tipo alcuni aerei X della NASA), droni particolari (come la combinazione M-21/D-21, da ricognizione) oppure per vettori spaziali.
  • Trasporto: un aeromobile ne trasporta un altro, ma senza possibilità di separarsi in volo. In pratica, si tratta di una specie di “trasporto eccezionale”, usato anche per fare alcuni test strutturali. Esempi tipici sono stati il Boeing 747 modificato per portare lo Space Shuttle, o l’equivalente sovietico con Antonov An-225 e Buran.
  • Velivolo composito: un velivolo composto da più velivoli. In effetti è largamente sovrapponibile all’aereo parassita con velivolo madre: decollano insieme come un “blocco” unico ed atterrano separatamente.
M-21/D-21
Una delle combinazioni più estreme e clamorose adottate per l’aviolancio: il Lockheed M-21 con il drone D-21. Immagine derivata da Wikimedia Commons. Credits: CIA. US Public Domain

Portaerei volanti: tiriamo le somme

Ad essere veramente pignoli, quindi, bisognerebbe parlare di “aeromobile madre” e “aeromobile portaerei“, e successivamente distinguere tra le due tipologie. Altre distinzioni andrebbero fatte per il tipo di velivolo imbarcato (aerorazzo, caccia parassita, navetta spaziale…), l’impiego… Insomma, come si sarà capito la categoria è piuttosto variegata.

In tutto questo, noi restiamo umili e continueremo a parlare di portaerei volanti, con aerei agganciati sopra (o sotto). Alla fine, infatti, nonostante tutte le definizioni, stiamo parlando esattamente di questo: aerei capaci di trasportare altri aerei.

In fondo alla pagina, comunque, vi fornirò tutti i link per approfondire questi argomenti.

La prima guerra mondiale

I primi esperimenti con “aerei trasportati da altri aerei” risalgono alla prima guerra mondiale. Gli inglesi furono i pionieri: del resto, avevano un “piccolo” problema con i dirigibili Zeppelin tedeschi, e dovevano inventarsi qualcosa per aumentare il raggio d’azione dei propri caccia (all’epoca piuttosto scarso). Quindi, il 17 maggio 1916, presero un biplano, un Bristol Scout C, e lo montarono sull’ala superiore di un idrovolante del tipo Felixstowe Porte Baby. Questo era un vero colosso: 37 metri di apertura alare, che umiliavano i 7 e mezzo scarsi del piccolo Bristol. Il volo si svolse senza incidenti, ed il caccia fu regolarmente sganciato a 300 metri di quota.

Prima portaerei volante
La prima portaerei volante della storia: un Bristol scout C montato sull’ala superiore di un Felixstowe Port Baby. Era il 1916, ed il piccolo biplano si sganciò regolarmente a 300 metri di quota. L’esperienza, comunque, non ebbe seguito. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto, probabilmente un ufficiale britannico. Public Domain

Questa esperienza, tuttavia, non ebbe seguito.

I tedeschi non furono da meno, anche se ci misero qualche anno in più. Il 26 gennaio 1918, un biplano Albatros D.III venne agganciato al dirigibile Zeppelin L35, e lanciato una volta giunto a 1.500 metri di quota. I tedeschi puntarono direttamente sui dirigibili, senza passare per i bombardieri. Il lancio ebbe successo, ma presentava diversi problemi. I più grossi: il pilota doveva necessariamente essere a bordo per tutto il tempo e il motore andava acceso prima del decollo (l’elica infatti da sola non partiva, ed occorreva una persona che “agisse” su questa).

Sempre nel 1918, gli inglesi provarono anch’essi la soluzione del lancio dai dirigibili, incontrando più o meno gli stessi inconvenienti dei tedeschi.

Come si è visto, si trattò più che altro di prove di fattibilità, ma non si arrivò mai ad un utilizzo operativo di queste soluzioni.

Le portaerei volanti tra le due guerre

Le portaerei volanti ebbero un certo sviluppo tra le due guerre mondiali. Gli scopi, di fondo, erano tre:

  • aumentare il raggio d’azione dei caccia, mettendoli in condizione, se necessario, di proteggere i bombardieri;
  • incrementare la flessibilità e l’autonomia dei ricognitori;
  • permettere agli aerei postali di attraversare l’Atlantico.

Gran Bretagna

Gli inglesi, precursori nell’impiego dei caccia parassiti, proseguirono gli esperimenti con gli areostati (che per le loro dimensioni ben si prestavano a queste cose). Il grande protagonista fu l’R33, un dirigibile rigido da pattugliamento lungo quasi 200 metri e con un volume di oltre 55.000 metri cubi. Durante gli anni venti, venne utilizzato in una serie di esperimenti, non solo di “sgancio” degli aerei, ma anche del loro recupero, sempre in volo! L’operazione fu effettuata utilizzando un monoplano, un de Havilland DH.53 Humming Bird, e fu coronata da successo. Pochi anni dopo, sotto lo stesso dirigibile furono montati due aerei, dei biplani Gloster Grebe: questi erano piuttosto grossi, visto che a pieno carico pesavano il quadruplo di un DH.53. In questo caso, l’esperimento fu più “classico”, e riguardò il solo sgancio in volo.

La Gran Bretagna interruppe ogni operazione di questo tipo nel 1926: i comandi, infatti, ritennero i dirigibili più utili per trasportare passeggeri che come portaerei volanti.

Short Mayo Composite
Lo Short Mayo Composite, realizzato per i voli intercontinentali del servizio postale britannico. La foto è stata scattata nel 1938. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto, Shorts Aircraft since 1900. Public Domain

Un discoro a parte meritano le poste britanniche. Si, le poste.

Il servizio postale imperiale, infatti, aveva la necessità di trasportare lettere e persone su lunghe distanze (possibilmente senza scalo), e quindi serviva qualcosa con autonomia adeguata. Visto che non esisteva, si pensò di riprendere il concetto di portaerei volante, montando un piccolo idrovolante Short S.21 Maia sopra un enorme S.20 Mercury. L’idea funzionò: l’S.20 volava per una grossa parte del tracciato, sganciando poi il piccolo S.21 che percorreva la restante parte del viaggio.

L’Atlantico era stato superato con successo!

Questa combinazione, chiamata Short Mayo Composite, volò a partire dal 1937. Ne fu costruito solo uno, che venne distrutto da un bombardamento tedesco nel 1941.

Stati Uniti: i dirigibili portaerei

Gli Stati Uniti puntarono parecchio sulle portaerei volanti, arrivando a realizzare due dirigibili appositamente progettati per questo scopo. Ma andiamo con ordine.

I primi risalgono agli inizi degli anni venti. Il 18 settembre 1923, un biplano riuscì ad agganciarsi in volo ad un piccolo “trapezio” metallico che era stato montato sotto ad un dirigibile rigido. Chiaramente, la cosa era tecnicamente fattibile. La grande differenza rispetto alla Gran Bretagna è che negli Stati Uniti la marina era molto interessata alla cosa.

La US Navy, infatti, aveva il problema di controllare quello che facevano i giapponesi, e quindi di migliorare le loro missioni di sorveglianza sull’Oceano Pacifico. E cosa ci può essere di meglio di un dirigibile capace di portare un certo numero di ricognitori?

Detto fatto, tra il 1931 ed il 1933 furono costruiti due dirigibili, gli USS Akron (ZRS-4) e Macon (ZRS-5): lunghi 239 metri, avevano un volume di 184.000 metri cubi. Erano enormi: per dare un’idea, il più grande oggetto volante mai costruito, il dirigibile Hindenburg, era lungo 245 metri.

USS Macon
Lo USS Macon in volo su Manhattan, nel 1933. Lui e il suo gemello USS Akron sono stati tra i più grandi dirigibili mai costruiti. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: U.S. Naval Historical Center Photograph. US Public Domain

Questi due dirigibili avevano un piccolo hangar, capace di ospitare quattro piccoli biplani Curtiss F9C Sparrowhawk. Inizialmente progettati come aerei imbarcati per portaerei, erano stati scartati per le prestazioni insufficienti. Tuttavia, per le portaerei volanti erano perfetti. Venivano lanciati e recuperati grazie ad un “trapezio” estensibile, che si fissava ad un gancio sopra l’ala.

Le prove dimostrarono l’efficacia di questa soluzione: i piccoli aerei, con il loro dirigibile portaerei, furono molto efficaci nelle operazioni di ricognizione.

La loro vita operativa, però, fu breve. Il 4 aprile 1933, l’Akron, finito in una tempesta, precipitò nell’oceano (72 morti e 3 superstiti), mentre il gemello Macon rimase vittima di un cedimento strutturale e finì anch’esso in mare, il 12 febbraio 1935.

La storia dei dirigibili portaerei, troppo vulnerabili, finì qui.

Curtiss F9C
Un piccolo F9C sotto il dirigibile USS Macon, nel 1933, durante una delle manovre di aggancio. Questi dirigibili avevano un hangar interno. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: JaGa, Naval Historical Center. US Public Domain

Le portaerei volanti sovietiche: il Progetto Zveno

L’Unione Sovietica non solo sperimentò le portaerei volanti, ma si ritrovò anche all’avanguardia in questo genere di studi, arrivando anche ad utilizzarle durante il secondo conflitto mondiale. Ma andiamo con ordine.

I sovietici iniziarono a sperimentare i caccia parassiti nel 1931, con il cosiddetto Progetto Zveno: due piccoli biplani Tupolev I-4 montati sopra le ali di un bombardiere (Tupolev pure lui) TB-1. Successivamente, i tecnici optarono per il più potente biplano Polikarpov I-5, installato sul Tupolev TB-3. Quest’ultimo era un vero colosso: quadrimotore con quasi 40 metri apertura alare, era particolarmente adatto al ruolo di aereo madre. Con questa configurazione (Zveno 2), la portaerei volante era capace di portare ben tre aerei: due sulle ali ed una sul dorso.

Zveno-2
Zveno-2: un Tupolev TB-3 e tre biplani Polikarpov I-5. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto, URSS. Public Domain Russia

Successivamente, iniziarono gli esperimenti con gli aerei sotto le ali (Zveno 3): due caccia Grigorovich I-Z. Ma fu lo Zveno 5 a fare la storia: durante il volo, un I-Z riuscì ad agganciarsi e sganciarsi più volte da un trapezio retrattile montato sotto un TB-3. Era il 23 marzo 1935, e si trattò del primo sgancio-riaggancio in volo effettuato da due aerei.

Gli esperimenti, sempre più complessi, proseguirono. Con lo Zveno 6, sotto le ali del TB-3 vennero agganciati due monoplani Polikarpov I-16. Sempre gli I-16 vennero usati con la configurazione successiva, chiamata Zveno 7: i due aerei, appesi a trapezi retrattili, erano in grado di sganciarsi e riagganciarsi sotto le ali durante il volo. La manovra, va detto, era difficilissima e poteva essere svolta solo da piloti molto addestrati. Del resto, all’epoca il pilota automatico non esisteva.

Nel 1935 venne avviato un progetto molto più ambizioso, chiamato Aviamatka (aereo madre in russo): praticamente, un TB-3 che decollava con due I-5 sopra le ali, due I-16 sotto ed un I-Z che si agganciava al trapezio sotto la fusoliera una volta in volo. Questa portaerei volante fu testata il 20 novembre e funzionò molto bene. Si pensò anche di realizzare una variante con otto velivoli, con caccia parassiti che andavano e venivano dal TB-3 rifornendosi di carburante, che però rimase sulla carta.

Il problema rimaneva lo stesso: erano manovre molto pericolose, e per svolgerle occorrevano piloti addestratissimi.

Zveno-5
Zveno-5: il solito TB-3 che aggancia “al volo” un monoplano Grigorovich I-Z. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto, URSS. Public Domain Russia

La seconda guerra mondiale

Le portaerei volanti sovietiche vanno in guerra

L’Unione Sovietica, con il progetto Zveno, è stata l’unica ad utilizzare le portaerei volanti in guerra. Si trattava di una variante dello Zveno 6, chiamata Zveno-SPB. In questo caso, sotto il solito TB-3, trovavano posto due I-16 (uno per ala), che potevano solo essere sganciati. I due caccia appartenevano alla versione SPB, da bombardamento di picchiata: in pratica, erano armati con una bomba da 250 kg.

Il TB-3 trasportava i due piccoli monoplani fino ad una breve distanza dall’obiettivo (una quarantina di chilometri, di solito), e poi li sganciava. I due velivoli svolgevano la loro missione e poi tornavano alla base di partenza contando sulle proprie forze.

Questa combinazione venne utilizzata operativamente contro le forze dell’Asse, in particolare su obiettivi in Romania (alleata della Germania). Le missioni ebbero un successo notevole, e proseguirono fino al 1942, quando i vertici dell’aviazione sovietica decisero di lasciar perdere: le difese aeree si erano fatte troppo forti per velivoli ormai antiquati come il TB-3 e l’I-16.

Portaerei volante Zveno SPB
Zveno SPB: un Tupolev TB-3 con due caccia Polikarpov I-16 sotto le ali. Questa combinazione venne utilizzata operativamente contro le forze dell’Asse in una trentina di missioni, fino al 1942. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto, San Diego Air & Space Museum Archives. Licenza libera

I progetti tedeschi

La Germania nazista, verso il 1943, iniziò a pensare ad alcuni aerei parassita da usare su portaerei volanti. Le intenzioni però erano piuttosto diverse da quelle degli altri Paesi: infatti, non si trattava di fornire una scorta ai propri bombardieri, ma di usarli come portaerei volanti per caccia a basso costo, contro le incursioni aeree alleate.

I caccia parassita tedeschi erano praticamente tutti spinti da motori a razzo o reazione, e nelle intenzioni dei progettisti avrebbero dovuto essere piccoli, manovrabili e molto veloci.

Le cose, purtroppo per i tedeschi, non andarono troppo bene. Furono presentati diversi progetti, di cui solo uno si concretizzò in un prototipo reale da valutare. Questo era il Messerschmitt Me 328: un velivolo con sei metri di apertura alare e spinto da un paio di motori dello stesso tipo della bomba volante V1. Inizialmente, si puntò a realizzare un caccia, ma poi venne teorizzata anche una variante suicida (tipo bomba volante giapponese. La vedremo dopo). Comunque, questo piccolo velivolo non entrò mai in servizio a causa delle prestazioni non proprio entusiasmanti.

Mistel
Foto di un Mistel, scattata nell’aprile/maggio 1945. Questo complesso era formato da un bombardiere Junkers Ju-88ed un caccia Focke-Wulf 190. Notare il personale americano che sta esaminando i due velivoli. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

Un discorso a parte merita il Mistel, una combinazione tra due aerei montati uno sull’altro. In pratica i due velivoli decollavano insieme. Una volta giunti nei pressi dell’obiettivo, quello sopra (solitamente un caccia, che aveva il “controllo” dell’intero complesso) sganciava l’aereo sotto (di solito un bombardiere, o comunque un modello da trasporto) e lo radioguidava fino all’obiettivo. Il secondo aereo era ovviamente imbottito di esplosivo.

I Mistel furono usati per la prima volta nel 1944, contro gli Alleati in Normandia, ed il loro utilizzo proseguì fino al termine del conflitto.

Il Giappone

Un certo utilizzo di aerei parassita lo fece anche l’aviazione imperiale giapponese. Si trattava dello Yokosuka MXY7 Ohka, una vera e propria bomba volante per kamikaze. Non è un modo di dire: un aereo a forma di siluro, con tanto di spoletta e 1.200 kg di esplosivo al suo interno, progettato per schiantarsi sulle navi americane. Il suo motore a razzo era capace di spingerlo ad oltre 900 km/h nella fase finale di attacco. Un’arma potenzialmente letale, che però non servì a niente: gli statunitensi, infatti, adottarono delle tecniche di difesa molto efficaci, che andavano a colpire l’aereo madre. Già, quello. Vista l’autonomia di 37 km, l’Ohka doveva essere trasportato sul posto e sganciato a breve distanza.

Mitsubishi MXY7 Ohka
La bomba volante MXY7 Ohka, della Mitsubishi. Si trattava di una vera e propria arma kamikaze. In punta, si può vedere la spoletta. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Sanjay Acharya. CC BY-SA 4.0

Il velivolo prescelto per la missione era un bombardiere Mitsubishi G4M, che in pratica se lo portava agganciato sotto per tutto il viaggio.

Come ho detto, le difese della flotta americana furono molto efficaci: ben pochi G4M riuscirono a sganciare il proprio carico, e pochissimi tornarono indietro.

G4M e Ohka
Un bombardiere G4M che sgancia una bomba volante Ohka. Ben pochi furono i G4M che tornarono alla base. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Navy Aero Technical Arsenal (Kaigun Koku Gijutsusho “Kugisho”), Marina Imperiale Giapponese. Public Domain Giappone

Le portaerei volanti durante la Guerra Fredda

Parlare di portaerei volanti ed aerei parassita durante la Guerra Fredda significa trattare una serie di progetti portati avanti dagli Stati Uniti. L’Unione Sovietica infatti, nonostante i grandi risultati ottenuto con il progetto Zveno, non proseguirono gli studi su questa particolare tipologia di velivoli.

Idem gli altri Paesi.

Gli Stati Uniti invece svilupparono (o in certi casi provarono a sviluppare) una serie di portaerei volanti ed aerei parassita veramente notevoli. Andiamo a vederli.

McDonnel XF-85 Goblin

Ecco qui il primo caccia parassita del dopoguerra: un aereo minuscolo e supercompatto, lungo quattro metri e mezzo e con un’apertura alare poco superiore ai sei. Il suo motore a reazione lo doveva spingere ad oltre 1.000 km orari. Questo velivolo venne progettato alla fine degli anni quaranta, e volò per la prima volta nel 1948.

XF-85 Goblin
Il caccia in miniatura XF-85 Goblin. Come si vede dalla foto, era veramente piccolo. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

Gli americani, all’epoca, avevano un problema fornire una scorta di caccia ai loro bombardieri. La difesa aerea sovietica, infatti, non consentiva a questi grandi e lenti apparecchi di girare indifesi. Quindi, occorreva un caccia di scorta. E quale soluzione migliore di un velivolo trasportato dai bombardieri stessi?

Detto fatto, l’USAF richiese qualcosa di adatto alle stive dei grandi aerei in progetto in quel periodo, i B-35 e B-36.

La McDonnell Aircraft presentò il Goblin (non ebbe molta concorrenza: fu la sola azienda a presentare un progetto), che venne provato sotto un B-29 modificato per l’occasione con un trapezio estensibile. Le prove non furono entusiasmanti: diversi agganci in volo fallirono a causa delle turbolenze generate dall’aereo madre (a cui il Goblin dimostrò di essere molto sensibile). Le turbolenze rendevano la manovra molto difficile, ed occorreva un pilota molto esperto per eseguirla. Questo, unito a prestazioni generali deludenti, portarono alla cancellazione del programma nel 1949.

Portaerei volante EB-29 in esercitazione
Un XF-85 Goblin (in basso) in fase di avvicinamento ad una portaerei volante EB-29. Si vede molto bene il “trapezio” per l’aggancio esteso sotto alla fusoliera. Immagine derivata da Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

Il Progetto FICON

Il progetto FICON (Fighter Conveyor) è stato probabilmente il più famoso tra gli aerei parassita, e l’unico entrato in servizio nel secondo dopoguerra (anche se per brevissimo tempo).

La solita aviazione americana, nonostante il fallimento del Goblin, rimaneva interessata a soluzioni del genere, e non solo per compiti di scorta. Il bombardiere Convair B-36 era un velivolo molto grosso ed efficace, e secondo l’USAF avrebbe potuto essere ancora migliore accoppiandoci un aereo da caccia. Non solo come scorta, ma anche (e soprattutto) come ricognitore aggiunto. E poi, perché no, anche per effettuare missioni di attacco: la miniaturizzazione delle testate nucleari procedeva bene, e si poteva pensare di armare un caccia con una bomba atomica…

Progetto FICON
Progetto FICON: B-36 & F-84 in volo. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

L’aereo prescelto fu il Republic F-84 Thunderjet, un cacciabombardiere monoreattore con 11 metri di apertura alare. Ovviamente, era troppo grosso per le stive del pur capiente B-36, quindi durante il viaggio veniva tenuto “semiannegato” nel vano bombe, e sganciato/riagganciato grazie ad un trapezio estensibile.

I test iniziarono nel 1952, ed ebbero successo tanto che fu accettato in servizio con lo Strategic Air Command nel 1955. L’F-84 agiva come ricognitore: grazie alle ridotte dimensioni, poteva sorvolare obiettivi ben difesi rischiando molto meno di un grosso bombardiere pesante (come il B-36).

Tuttavia, già nel 1956 si decise di rinunciare al FICON. Il problema era sempre quello: le operazioni di riaggancio erano molto complicate, e potevano essere svolte solo da piloti ottimamente addestrati. Inoltre, il rischio di incidenti era sempre elevato, soprattutto in condizioni di maltempo. E poi, il B-36 iniziava a diventare vecchio ed un nuovo ricognitore, l’U-2, stava entrando in servizio…

Insomma, alla fine gli Stati Uniti decisero di utilizzare per la ricognizione metodi più “tradizionali”.

FICON sgancio F-84
Un B-36 sgancia il suo F-84. Queste manovre di “sgancio” e “riaggancio” erano fattibili ed ebbero successo. Tuttavia, erano rischiose e servivano piloti altamente addestrati. Alla fine. il programma venne cancellato. Immagine derivata da Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

Aerei parassiti alle estremità alari

Prima del progetto FICON, l’aviazione americana testò una soluzione piuttosto originale: agganciare gli aerei parassiti alle estremità alari dell’aereo madre. Fino a quel momento, tutte le portaerei volanti avevano portati i propri velivoli sopra o sotto la fusoliera (o le ali), ma mai alle estremità.

Furono portati avanti un paio di progetti, che però presentavano tutti gli stessi problemi:

  • gli aerei coinvolti dovevano atterrare e decollare separatamente;
  • aggancio da effettuare rigorosamente in volo, contando solo sulle abilità dei piloti (i sistemi automatici non esistevano);
  • i caccia parassiti dovevano “assecondare” le manovre in volo dell’aereo madre (un sistema di controllo centralizzato non c’era);
  • i vortici alle estremità alari rendevano le manovre molto pericolose.

I progetti furono, come detto, due.

  • MX-1016 (Tip Tow): due F-84 alle estremità di un B-29 (modificato e chiamato EB-29). I test iniziarono nel 1950, e nonostante tutti i problemi e le difficoltà furono un successo. Tuttavia, il 24 aprile 1953, accadde la tragedia: un F-84 si scontrò con il B-29 durante la manovra di aggancio, ed i due velivoli finirono distrutti con la perdita di entrambi gli equipaggi. Questo incidente praticamente pose fine al Tip Tow.
  • Tom-Tom: praticamente la stessa cosa del Tip Tow, ma con un più potente B-36 come aereo madre. I test andarono avanti per tutto il 1956, quando furono interrotti perché troppo pericolosi. I progressi con le tecnologie per il rifornimento in volo determinarono la definitiva cancellazione del programma.
Progetto Tip-Tow
Un Boeing B-29 e due F-84, nella configurazione Tip-Tow. Questi voli sperimentali cessarono dopo un drammatico incidente in cui andarono perduti due velivoli. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain

Le superportaerei volanti statunitensi

Negli Stati Uniti furono presentati diversi altri progetti riguardanti le portaerei volanti: progetti molto ambiziosi, che rimasero sulla carta. Vediamo i due più clamorosi.

  • Lockheed CL-1201: un mostro, non si può definire altrimenti. Un velivolo a propulsione nucleare con 340 metri di apertura alare ed un peso al decollo superiore alle 5.000 tonnellate, che avrebbe potuto trasportare 22 aerei. Ovviamente non uscì mai dal tavolo da disegno dei progettisti. Venne studiato nei primi anni settanta, e ne fu ipotizzata anche una versione da trasporto.
  • Boeing 747 Airborne Aircraft Carrier: un Boeing 747 studiato negli anni settanta in versione portaerei volante, capace di trasportare dieci piccoli velivoli intercettori. Il ‘747 avrebbe dovuto essere in grado di lanciare e recuperare i caccia, rifornirli e riarmarli. Alla fine non se ne fece nulla per una questione di costo, anche se la cosa era stata considerata tecnicamente fattibile.
Boeing 747 AAC
Raffigurazione del 747 in versione portaerei volante. Nonostante fosse ritenuto tecnicamente fattibile, questo progetto venne abbandonato a causa degli elevati costi previsti. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: Stefanobiondo. CC BY-SA 4.0

Le portaerei volanti oggi

Per decenni non si è sentita la necessità di portaerei volanti, visti i progressi con il rifornimento in volo. Negli ultimi anni, tuttavia, l’argomento sta tornando di attualità, soprattutto alla luce delle grandi possibilità offerte dai droni.

Non si parla di grandi basi volanti o cose particolarmente ambiziose, ovviamente, ma semplicemente di riadattare degli aerei di produzione corrente per permetterne l’utilizzo come vettori volanti capaci di lanciare aerei senza pilota.

Velivoli di questo tipo permetterebbero operazioni in ogni parte del globo, con un singolo aereo in grado di svolgere, grazie ai droni, missioni di attacco, ricognizione e guerra elettronica. Insomma, qualcosa di molto utile nelle guerre moderne.

X-61 Gremlin
L’UAV X-61 Gremlin, in fase di test come “drone imbarcato” su un C-130. Immagine derivata da Wikimedia Commons. Credits: DARPA. US Public Domain

Negli Stati Uniti, la DARPA (il dipartimento per i progetti avanzati della Difesa) sta portando avanti uno studio del genere, utilizzando come portaerei volante un C-130 Hercules modificato. Il programma procede: il 17 gennaio 2020 un piccolo drone da 65 kg, chiamato X-61 Gremlins, è stato sganciato con successo da un Hercules. Il drone poi è precipitato, ma è stata dimostrata la fattibilità della cosa. I test continuano.

Nel frattempo, la Russia non sta a guardare. Nel 2021 è stato presentato il Molniya, un piccolo drone a basso costo (pesa 60 kg) utilizzabile per la ricognizione oppure come “kamikaze” per distruggere determinati obiettivi. Questo drone potrà essere trasportato dal nuovo caccia stealth Sukhoi Su-57 in otto esemplari, oppure in stormi da una decina di unità controllati da un drone-madre chiamato Grom (in fase di sviluppo).

Insomma, in poco più di un secolo siamo passati dai biplani lanciati dai dirigibili, ai droni lanciati da aerei da caccia!

L’angolo del modellista

In questa pagina ho parlato di parecchi aerei. Vista la particolarità dell’argomento, non si trovano modellini specifici. Tuttavia, con un po’ di pazienza ed abilità, realizzare una combinazione Tom-Tom o un Mistel non è impossibile. Ecco un riepilogo.

  • Mistel: di solito il caccia era un Messerschmitt Bf.109 o un Focke-Wulf Fw 190, mentre per il bombardiere si utilizzava uno Junker Ju-88 oppure un Heinkel He 177.
  • Germania (prima guerra mondiale): Albatros D.III
  • Zveno: tante configurazioni. I bombardieri erano i Tupolev TB-1 e Tupolev TB-3, ed i caccia i Polikarpov I-5, Grigorovich I-Z e Polikarpov I-16.
  • Giappone: Yokosuka MXY7 Ohka e Mitsubishi G4M.
  • Stati Uniti: Curtiss F9C Sparrowhawk, Convair B-36, Boeing EB-29, McDonnel XF-85 Goblin e F-84 Thunderjet
  • Federazione Russa: Sukhoi Su-57
  • Gran Bretagna: Bristol Scout C, Felixstowe Porte Baby, de Havilland DH.53 Humming Bird, Gloster Grebe, Short S.21 Maia, S.20 Mercury

Fonti

Wikipedia

(immagine di copertina derivata da Wikimedia Commons. Credits: USAF. US Public Domain)

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