Cannone HARP

HARP: il cannone sparasatelliti

HARP (con una “A” sola. HAARP è completamente un’altra cosa) è l’acronimo per High Altitude Research Project. Si trattava di un programma sperimentale sviluppato congiuntamente da Stati Uniti e Canada per studiare a basso costo il comportamento dei veicoli balistici di rientro, usando un cannone invece di missili e razzi (che sono parecchio più costosi). Detto in altri termini, invece di usare un missile per “sparare” un veicolo di rientro (quello che noi volgarmente chiamiamo testata) e studiarne il comportamento, questo sarebbe stato sparato da un cannone ad altissime prestazioni.

Genesi del progetto HARP

Prima di tutto, questo programma non va confuso con il progetto HAARP, che riguardava uno studio sugli strati alti dell’atmosfera e le comunicazioni radio militari (parlo al passato perché HAARP è stato chiuso). HARP invece nasce una trentina d’anni prima, e fu un’idea di un certo Gerald Bull, un ingegnere balistico canadese. Un genio, con una storia molto particolare: nato in Canada, lavorò con gli Stati Uniti e successivamente fondò una sua società, la Space Research Corporation. Questa società si occupava di commercializzare le tecnologie per l’artiglieria a lungo raggio. Cosa che fece con parecchi Paesi: Repubblica Popolare Cinese, Taiwan, Cile e soprattutto Sud Africa. Successivamente, Bull fornì consulenza (decennale) anche all’Iraq di Saddam Hussein.

Ma su questo ci torneremo. Veniamo ora al progetto HARP. Le origini si possono ritrovare addirittura negli anni cinquanta, quando Bull stava lavorando ai sistemi antimissile balistici (ABM). Solitamente, per studiare il comportamento di corpi ad alte velocità, si usano le gallerie del vento. Se poi si parla di missili, queste gallerie del vento sono anche estremamente complesse e, soprattutto, costose. Il canadese sviluppò una tecnica basata su cannoni ad altissima velocità, che consentivano di “sparare” (letteralmente) dei simulacri di missili balistici, con notevoli vantaggi in termini di costi.

L’idea piacque ai militari, che decisero di finanziare Bull. Tuttavia, la sua idea non venne usata per i sistemi antimissile, ma per sviluppare nuovi tipi di veicoli di rientro per i missili balistici intercontinentali (i cosiddetti ICBM): il canadese infatti convinse i militari che i simulacri delle testate potevano essere lanciate da un cannone invece che da un missile, rendendo tutto molto più semplice, economico e veloce (approntare un missile è molto più complicato che sparare da un cannone).

Il cannone

L’idea di Bull non era nemmeno troppo difficile da realizzare. Per il cannone, infatti, si riciclò un vecchio pezzo da marina: un 406 mm calibro 50, uno di quei giganteschi cannoni lunghi venti metri che equipaggiavano le corazzate della seconda guerra mondiale. Per aumentare la velocità del proiettile, fu necessario allungare la canna, portandola a ben 36 metri. Alla fine, non era niente di particolarmente nuovo: prendere un cannone navale ed allungargli la canna per ottenere una velocità maggiore del proiettile era esattamente quello che avevano fatto i tedeschi nella prima guerra mondiale con il cannone di Parigi.

I proiettili erano abbastanza particolari: chiamati Martlet, furono realizzati in parecchie versioni e sottoversioni. Si trattava di proiettili decalibrati, di diametro inferiore a quello della canna, sistemati su un sabot (dispositivo usato in un’arma da fuoco che permette di sparare un proiettile più piccolo del diametro della canna senza dispersioni di gas propellente, o in caso debba essere tenuto in una posizione precisa. Grazie Wikipedia): in questo modo, la velocità iniziale del proiettile era estremamente alta.

HARP
Il cannone HARP da 406 mm fa fuoco. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: autore sconosciuto. US Public Domain

Visto che questi Martlet erano sostanzialmente dei simulacri di veicoli di rientro, per studiarne il comportamento (scopo del programma) vennero sistemati degli strumenti elettronici all’interno dei proiettili. Questi strumenti erano sigillati in una sorta di mistura composta da resine epossidiche e sabbia, in modo da consentirgli di resistere alle fortissime sollecitazioni prodotte dallo sparo.

Già, lo sparo. I Martlet non erano proiettili normali (anzi, sarebbe forse azzardato proprio definirli proiettili). Ne furono costruite diverse versioni, alcune rimaste sulla carta, che avevano un carico utile compreso tra poco più di un kg a circa una ventina. Per essere sparati, necessitavano di quattro quintali e mezzo di uno speciale propellente, chiamato M8M. Il costo di un singolo sparo, circa 3.000 dollari, era veramente bassissimo in confronto ai milioni per lanciare un missile.

I test di HARP

Come detto precedentemente, gli americani riciclarono un vecchio cannone da marina, che piazzarono dalle parti dell’aeroporto di Seawell, nelle Barbados. Successivamente, ne fu montato un secondo esemplare, puntato verso il mare (esattamente come il primo: almeno non si rischiava di colpire qualcosa o qualcuno durante i test). Il montaggio del secondo cannone, come si può immaginare, fu piuttosto complicato, e si rese necessario costruire appositamente una piccola ferrovia. Il governo locale, comunque, era euforico: le Barbados, così speravano, sarebbero state coinvolte nell’esplorazione spaziale! Questo secondo cannone sarebbe stato il più usato per i test.

Il 20 gennaio 1963 il cannone sparò il suo primo colpo: con la canna praticamente in verticale (prima volta in assoluto per un pezzo di artiglieria di quelle dimensioni), il proiettile da 315 kg uscì dalla canna a 1.000 m/s e raggiunse i tre chilometri di quota, per poi ricadere in mare. Il test era stato un successo!

Nel 1966, un terzo cannone fu montato in Arizona, nella ridente cittadina di Yuma, che essendo in mezzo ad un deserto era l’ideale per tirare cannonate senza fare danni. Questo 406 era probabilmente il modello definitivo, e nel novembre di quell’anno sparò un Martlet 2 a 180 km di altitudine, stabilendo un nuovo record.

Complessivamente, i tre cannoni spararono oltre 200 Martlet di varie versioni.

I piccoli HARP

Quando pensiamo al Progetto HARP, viene subito in mente il cannone da 406 mm: grosso, potente e dalle alte prestazioni. Questo tuttavia non fu il solo pezzo di artiglieria utilizzato nel programma. Contemporaneamente, infatti, ne furono testati altri due, più piccoli.

  • HARP da 5 pollici: ottenuto modificando un cannone da 120 mm. Prima del progetto HARP, era utilizzato dal Ballistic Research Laboratory per scopi sperimentali. Visto che prometteva bene (i suoi “proiettili” arrivavano a 65 km di quota) venne modificato allungandogli la canna. Per le sue dimensioni ridotte era molto semplice da trasportare, e fu ampiamente usato in varie basi statunitensi. Cosa non secondaria, era pure piuttosto economico, visto che un colpo costava tra i 300 ed i 500 dollari. L’Atmospheric Sciences Laboratory ne utilizzò un esemplare per misurare il vento nella stratosfera.
  • HARP da 7 pollici: versione ingrandita del precedente 5 pollici, ottenuta modificando (e soprattutto allungando) un cannone da 175 mm. A differenza del suo “fratellino”, questo non si mosse mai da Wallops Island, un’area test gestita dalla NASA. Poteva sparare 27 kg di proiettile a razzo ad oltre 100 km di quota.

I test di questi cannoni, meno conosciuti ma altrettanto importanti, terminarono nel maggio 1966. Come il fratello maggiore, potevano sparare con elevazioni quasi verticali.

HARP da 5 pollici
Un cannone HARP da 5 pollici. Fonte: Wkimedia Commons. Credits: Johnmartindavies. CC BY-SA 3.0

La fine del programma

I test andavano bene, e Bull sperava di riuscire a sparare un satellite nello spazio: il Martlet 4, in fase di sviluppo, avrebbe dovuto essere in grado di raggiungere lo scopo, grazie a degli stadi aggiuntivi a propellente solido o liquido. Ma la sua idea rimase sulla carta: nel 1967 il programma venne cancellato, a causa delle divergenze politiche tra Stati Uniti e Canada a proposito della guerra in Vietnam. I cannoni rimasero al loro posto ad arrugginire, e quelli delle Barbados sono visibili ancora oggi.

HARP
Uno dei cannoni HARP delle Barbados, abbandonato ad arrugginire. Fonte: Wkimedia Commons. Credits: Brohav. Public Domain

Considerazioni sul progetto HARP

Ma che giudizio si può dare di questo progetto? Sarebbe stato veramente utile per portare carichi nello spazio? E soprattutto, sarebbe stato realmente fattibile?

Prima di tutto, occorre fare una precisazione: è opinione di molti che in realtà per Bull la ricerca sui veicoli balistici di rientro fosse solo un modo per ottenere fondi su quello che in realtà era il suo vero obiettivo, ovvero la realizzazione del “cannone per satelliti”. Chiariamoci, non sto dicendo che il canadese abbia imbrogliato i suoi committenti: il progetto HARP fu realmente efficace per lo scopo per cui era stato realizzato, ovvero lo studio dei veicoli di rientro. Tuttavia, quello a cui Bull puntava probabilmente era utilizzare questi fondi per “farci rientrare” anche la fase successiva, ovvero il sistema di lancio per i satelliti. E, per sua sfortuna, il programma venne cancellato proprio ad un passo dalla meta, quando lo sviluppo del Martlet 4 era a buon punto.

Usare un cannone per portare un carico nello spazio probabilmente sarebbe stato fattibile: Bull era un progettista geniale, i calcoli li sapeva fare e con un po’ di lavoro avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Certo, non sarebbe stato semplice: la velocità di fuga dalla terra (cioè la velocità minima per far sfuggire qualcosa alla gravità terrestre e immetterla nello spazio) è di 11.200 metri al secondo. Probabilmente in certe condizioni basta anche meno (almeno così ho letto in giro), ma il risultato migliore del Martlet fu di “soli” 2.300 metri al secondo: ci sarebbe stato parecchio da lavorare.

L’invio di carichi nello spazio avrebbe avuto parecchie limitazioni. Intanto, il diametro: il proiettile doveva stare nella canna di un cannone, e quindi non si può esagerare. Il cannone HARP raggiungeva i 40 centimetri, ma non bisogna dimenticare che i proiettili erano decalibrati (cioè il diametro effettivo era inferiore a quello della canna): di conseguenza sarebbe stato adatto solo per il lancio di minisatelliti, cosa non necessariamente negativa (oggi vanno molto di moda i cubesat, dei satelliti a forma di cubo di 10 centimetri di lato). Ma un altro problema sarebbe stata la componentistica: i satelliti contengono componenti elettronici, e le fortissime accelerazioni iniziali l’avrebbero sicuramente danneggiata. Come detto prima, i Martlet erano ripieni di una resina speciale, in modo da limitare i danni alla strumentazione, ma non è chiaro quanto questa soluzione fosse applicabile su larga scala, e soprattutto con componenti altamente sensibili.

Bull però credeva veramente a questa sua idea, e non l’abbandonò mai, anche se fu costretto a dedicarsi ad altro. Fu solo nel 1988, mentre lavorava per Saddam Hussein, che riuscì a farsi finanziare dal dittatore iracheno un cannone lanciasatelliti: si trattava del Progetto Babilonia, ma questa è un’altra storia.

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Dati tecnici

  • Progettista: Gerald Bull
  • Tipologia: cannone sperimentale
  • Ingresso in servizio: 1963
  • Esemplari costruiti: 3
  • Peso: 200 tonnellate
  • Lunghezza della canna: 36 m
  • Calibro: 406 mm
  • Peso proiettile: circa 600kg
  • Velocità proiettile: 2.300 m/s
  • Gittata: non applicabile. 180 km di quota massima raggiunta

Fonti

(immagine di copertina derivata da Wikimedia Commons. Credits: Johnmartindavies. CC BY-SA 3.0)

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