Siamo negli anni sessanta. Un periodo ruggente, pieno di novità: il boom economico, i Beatles, la Citroen Pallas… E la guerra fredda. E con lei l’Unione Sovietica e l’incubo di una guerra nucleare. Le due superpotenze sono alla ricerca di armi sempre più sofisticate e micidiali, in grado di annichilire il nemico. Il problema è fondamentalmente uno: se una delle due superpotenze lancia i suoi missili, l’altra farà la stessa cosa e l’umanità farà la fine del triceratopo qualsiasi dopo l’asteroide di sessantacinque milioni di anni fa.
In questa guerra, gli americani sono in vantaggio: non perché abbiano i missili più potenti, ma piuttosto per via delle basi in Europa. Infatti, potrebbero teoricamente condurre degli attacchi atomici a sorpresa verso il territorio sovietico sfruttando le basi europee, lasciando pochissimo preavviso per una rappresaglia.
Ma i sovietici non si scoraggiano, e mettono a punto un sistema da bombardamento atomico orbitale, in grado di colpire qualunque parte del mondo: è il FOBS, acronimo per Fractional Orbital Bombardment System (in italiano: sistema da bombardamento orbitale frazionale). Impreciso, di dubbia utilità, e forse anche contro le leggi internazionali, ma ad oggi l’unico sistema di questo tipo mai immesso in servizio.
Scopriamo insieme di cosa si trattava.
Le origini del FOBS
Il problema sovietico
Nei primi anni sessanta, i sovietici avevano un grosso problema: quello delle basi missilistiche in Europa (Turchia in particolare), che avrebbero consentito alla NATO di sferrare attacchi missilistici a sorpresa, lasciando un preavviso minimo per qualunque contromisura. La questione era seria: l’Unione Sovietica, infatti, poteva vaporizzare l’Europa occidentale grazie ai missili a medio e corto raggio, ma per raggiungere il territorio americano (il nemico principale) erano indispensabili gli ICBM, i missili balistici intercontinentali. Non che non gli avesse, ma erano sicuramente meno numerosi (e diciamolo, parecchio più costosi) dei sistemi a corto raggio, e soprattutto una volta in volo potevano essere individuati dai radar e consentire agli americani di lanciare una rappresaglia.
Occorreva qualcosa di diverso, e qualcuno nell’alto comando sovietico ebbe un’idea: un sistema da bombardamento atomico orbitale, capace di mettere in orbita una bomba nucleare da far rientrare sulla Terra in caso di conflitto.
La specifica GR-1
Quindi, nel 1961, venne emesso il requisito GR-1 (Razzo Globale 1 in italiano), quello che noi in Occidente chiamiamo FOBS: in pratica, si richiedeva un sistema capace di mettere in un’orbita di 150 chilometri una testata nucleare di 1.500 kg di peso, che fosse in grado di attaccare gli Stati Uniti continentali senza essere individuata.
All’epoca, gli uffici tecnici sovietici che si occupavano di missilistica erano tre, e tutti risposero con progetti propri alla richiesta delle forze armate. Ancora oggi, c’è parecchia confusione sulle varie denominazioni, e gli stessi progetti sono poco conosciuti. Cerchiamo di vederli meglio nel dettaglio (la sigla numero-lettera-numero tra parentesi è la codifica GRAU. Comunque ho scritto un articolo sulle codifiche che usano i russi per i loro missili).

R-36O
Mikhail Yangel propose l’R-36O (8K69): . Si trattava di una versione appositamente modificata di un missile, l’R-36 appunto, che stava già sviluppando per le forze strategiche sovietiche. Fu questa la proposta risultata vincitrice, e ne parlerò successivamente.
8K713
Sergei Korolev propose l’8K713: una proposta a basso rischio tecnologico, visto che riutilizzava soluzioni già presenti sull’R-9, un altro missile di sua progettazione già sperimentato con successo da un paio d’anni e che sarebbe entrato in servizio proprio nel 1961. Il suo missile si trova spesso in rete con il nome di GR-1, anche se si tratta solo di uno dei tre progetti che furono effettivamente presentati.
La proposta aveva una serie di lati positivi: derivava dal già citato R-9, si basava su tecnologie collaudate e consentiva di utilizzare pozzi di lancio già esistenti. Ma il vero punto debole, quello che probabilmente affondò il progetto, furono i motori: Korolev decise di utilizzare, come propellente, una miscela di ossigeno liquido (LOX) e kerosene. Il progettista, infatti, considerava l’8K713 in un’ottica complessiva all’interno del lavoro del suo ufficio tecnico, ovvero sperimentare, in piccolo, una serie di soluzioni che intendeva implementare sul super razzo per missioni lunari N1, la risposta sovietica al Saturn V.
Il problema fu che i militari preferivano i motori a combustibile solido: sicuramente più tossici, ma stoccabili con molta più facilità. Il guaio per Korolev fu che il sul 8K713 non fu solo respinto dalle autorità militari, ma anche cancellato. La cosa probabilmente ebbe un impatto fatale sul già citato N1, visto che le prove reali dell’impianto propulsivo del super razzo poterono essere effettuate solo sul razzo stesso in fase di lancio, con risultati catastrofici.
La NATO fece un po’ di confusione (ne parlo dopo) e gli diede il nome in codice di Scrag.

UR-200
UR-200 (8K81) fu la soluzione proposta da Vladimir Chelomei. Premessa: prima di tutto, occorre inquadrare il lavoro di Chelomei. Si trattava di un progettista estremamente valido, considerato da molti il vero rivale di Korolev nel campo della missilista spaziale sovietica. Tuttavia, era anche fortemente sponsorizzato dall’allora premier Khrushchev, ed a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta si aggiudicò parecchie commesse. Uno dei progetti su cui puntava era, appunto, l’UR-200, un “razzo universale” che sarebbe dovuto servire, oltre che per il requisito GR-1, anche come ICBM pesante e per lanciare vari “spacecrafts” progettati dal suo ufficio tecnico (alcuni abbastanza futuristici e poco verosimili per le tecnologie dell’epoca).
L’UR-200, tutto sommato, funzionava (nove lanci, sette riusciti), ma il programma venne interrotto nel 1964, con l’estromissione dal potere di Khrushchev. Una commissione, presieduta dall’accademico Mstislav Keldysh, ebbe l’incarico di riesaminare tutti i progetti di Chelomei e deciderne il destino: alcuni furono lasciati inalterati, altri vennero riassegnati, molti cancellati. L’UR-200 fu tra questi ultimi. La NATO lo codificò con il nome di SS-10 Scrag

La scelta dei militari
I militari approvarono l’R-36O nel gennaio 1965, e nel dicembre di quello stesso anno il missile fu lanciato per la prima volta. Dopo tutta una serie di test, orbitali e suborbitali, dal cosmodromo di Baikonur, il sistema venne finalmente accettato in servizio il 19 novembre 1968.
Descrizione tecnica del FOBS
Ma come era fatto il GR-1 (o FOBS, chiamatelo come volete)? Essenzialmente, era composto da due parti, il missile vero e proprio e il satellite – testata nucleare.
Il missile: R-36O
Il missile era il già citato R-36O, versione per impieghi orbitali dell’R-36. Non aveva grandi differenze, a parte per l’aggiunta di un terzo stadio manovrabile, ovvero il veicolo di rientro con la testata nucleare. In pratica, era più lungo di un R-36 “di serie”, con la parte finale più larga. Per gli amanti dei numeri: un missile di oltre 28 metri di lunghezza e tre di diametro, a cui era stato aggiunto un terzo stadio lungo 4-6 metri e con un diametro di oltre quattro e mezzo. Il terzo stadio conteneva il veicolo di rientro. In Occidente, venne codificato dalla NATO SS-9 Scarp Mod. 3.
Il satellite: OGCh
Il veicolo di rientro prese il nome di OGCh (8F021). Di fondo, si trattava di un cono contenente una testata nucleare da cinque megatoni (secondo i russi. Massimo tre secondo gli americani) con alcuni strumenti, che consentivano al veicolo di rientrare autonomamente verso il suo bersaglio. Per le manovre orbitali, utilizzava un retrorazzo a propellente liquido con quattro ugelli di scarico sui lati. Il peso complessivo era di 1.700 kg, con valori orbitali tipici di 139 km di perigeo e 279 di apogeo 279, con un’inclinazione 49,6 gradi. L’OGCh conteneva una testata nucleare di potenza variabile fra i 3 (stime americane) ed i 5 (dichiarazioni sovietiche) megatoni.
La questione della gittata
Con un sistema del genere, parlare di gittata potrebbe sembrare inutile: un satellite (e l’OGCh sostanzialmente lo era) è in grado di compiere un certo numero di orbite intorno alla Terra, e rientrare in qualunque punto del pianeta. Ma in questo caso, abbiamo un valore: 40.000 km. Il motivo è molto semplice: nel 1967, un anno prima dell’ingresso in servizio del FOBS, venne ratificato (anche dall’Unione Sovietica) il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico. Si tratta di uno dei pilastri della legislazione spaziale, ed il testo è reperibile ovunque anche in italiano. Quello che a noi interessa è l’articolo 4:
Parties to the Treaty undertake not to place in orbit around the Earth any objects carrying nuclear weapons or any other kinds of weapons of mass destruction, install such weapons on celestial bodies, or station such weapons in outer space in any other manner.
In breve, il trattato vieta di mettere in orbita intorno alla Terra armi nucleari (o altre tipologie di armi di distruzione di massa), o di installarle a bordo di satelliti, stazioni spaziali, corpi celesti e simili. Il FOBS, quindi, sarebbe stato illegale: in fondo, si trattava di una bomba atomica orbitale. Però, data la circonferenza terrestre di 40.075 km, la “gittata” limitata a 40.000 km la rendeva, di fatto, un’arma non orbitale, visto che rientrava prima di completare l’orbita. Da qui, anche il nome di sistema da bombardamento orbitale frazionale. Un colpo di genio? Forse. Fatto sta che gli stessi americani considerarono l’R-36O non in violazione dei trattati.

Il tallone d’Achille: la precisione
Arma definitiva? Non proprio. Per completare il quadro dobbiamo parlare anche di un altro fattore fondamentale, quando si parla di missili (e non solo): la precisione. E qui le cose non andavano affatto bene. La precisione di un proiettile è indicata da un valore numerico chiamata probabilità di errore circolare (CEP in inglese): sarebbe il raggio della circonferenza, incentrata sul bersaglio, entro cui cade il 50% dei proiettili sparati contro il bersaglio stesso con la stessa arma o con il medesimo sistema di lancio. Intuitivamente, più il numero è basso, più il sistema d’arma è preciso.
I sovietici dichiaravano per il FOBS un CEP di 1.100 metri: questo vuol dire che, su 10 testate lanciate, solo 5 sarebbero cadute entro il chilometro e qualcosa dal bersaglio. Il valore potrebbe non essere così male, visto che si parla di testate nucleari. Peccato però che i servizi di intelligence americani stimassero in realtà valori molto peggiori, nell’ordine dei 5.500 metri. La scarsa precisione venne confermata dai test condotti dai sovietici nel corso degli anni.
Il FOBS in servizio
Il reggimento di Baikonur
Il FOBS sovietico fu l’unico sistema di armi nucleari orbitanti mai schierato. Le forze strategiche iniziarono a ricevere i primi R-36O nell’agosto del 1968, ed il sistema diventò ufficialmente operativo nel mese di novembre. L’anno successivo, venne messo in stato di allerta il primo reggimento: basato a presso il cosmodromo di Baikonur, era composto da 18 missili. Rimase il solo reggimento operativo.
Complessivamente, ne furono lanciati oltre 20, tutti come missioni Cosmos. L’ultimo lancio venne effettuato nel 1971. Nessuno di questi era equipaggiato con una testata nucleare reale, ma con un simulacro: le bombe atomiche vere furono montate a partire dal 1972.
Disinformazione sovietica
Inizialmente, la NATO sul FOBS fece parecchia confusione. Soprattutto, sembrò non capire che gli uffici tecnici coinvolti erano stati tre. Infatti, gli analisti occidentali erano convinti che il missile entrato in servizio come FOBS fosse l’UR-200 di Chelomei, che codificarono come SS-10 Scrag. La cosa aveva senso: l’UR-200 aveva volato, funzionava… L’R-36-O di Yangel probabilmente non venne considerato perché confuso con la versione “base” (l’R-36 era un missile balistico intercontinentale che entrò in servizio in gran numero con le forze strategiche sovietiche).
A questa situazione, poi, i sovietici ci misero del loro e non persero l’occasione di fare un po’ di disinformazione nei confronti dell’intelligence occidentale. Ricordiamo che le informazioni militari provenienti dal Paese socialista erano praticamente nulle, quindi per sapere cosa schierava l’Armata Rossa era indispensabile il lavoro delle spie. Un’occasione in cui venivano (e vengono ancora oggi) mostrati al pubblico tutti gli ultimi ritrovati erano le parate sulla Piazza Rossa.
Qui, il 9 maggio 1965, i sovietici fecero sfilare i due missili 8K713 di Korolev, il cui sviluppo era stato cancellato, dichiarando che si trattava di “sistemi FOBS”. Gli analisti NATO si fidarono, e li codificarono come Scrag, confondendoli con gli UR-200 di Chelomei.
La situazione finale era questa: un missile che non aveva mai volato (8K713) era diventato la stessa cosa di uno cancellato (UR-200), ed entrambi non c’entravano nulla con quello che era realmente entrato in servizio (R-36-O). Ci vollero anni per chiarire questa cosa.
Vantaggi del FOBS
Questi missili, schierati in numero ridotto, avrebbero dovuto essere usati per attacchi atomici a sorpresa in ogni direzione e con gittata illimitata, colpendo le infrastrutture strategiche americane (in particolare quelle del sistema antimissile balistico allora in sviluppo). Il preavviso sarebbe stato brevissimo, perché sarebbe stato quasi impossibile per i radar americani individuarli a causa della bassa quota di volo, oltre che per le imprevedibili traiettorie di avvicinamento ad una velocità superiore a quelle delle normali testate nucleari.
Svantaggi del FOBS
I limiti però c’erano, ed erano seri. Prima di tutto, il carico ridotto: a causa delle modifiche necessarie a renderle “orbitali”, le testate erano meno potenti di quelle che si potevano montare su un ICBM classico. E poi c’era il problema della precisione. Ho parlato prima del CEP di 5.500 metri: ipotizzando un lancio simultaneo di tutti i 18 i missili, solo nove sarebbero caduti entro i cinque chilometri e mezzo del bersaglio. Praticamente, avrebbero colpito l’obiettivo per sbaglio.
Successivamente, i sovietici fecero ulteriori considerazioni, che gli fecero dubitare di aver sviluppato qualcosa di militarmente decisivo. Prima di tutto, la tecnologia si evolve: il FOBS era progettato per eludere i radar di allerta con base a terra, ma non i sistemi satellitari entrati in servizio nei primi anni settanta. Questi erano in grado di individuarli in tempo praticamente reale.
Oltretutto, l’obiettivo principale, il sistema ABM americano Safeguard, era afflitto da una serie di problemi. Non tecnici, ma di altro tipo: costava uno sproposito, parecchi dubitavano della sua efficacia e la popolazione non era affatto contenta. Questo ultimo punto merita un approfondimento. Le basi erano state costruite relativamente vicine ai centri abitati, ed oltretutto era progettato per intercettare una testata nucleare colpendola con un missile caricato con una testata nucleare: praticamente uno scontro in volo tra due bombe atomiche! Per farla breve, gli americani chiusero il programma Safeguard. Lo stesso sistema, nella sua ultima formulazione, non era più considerato un obiettivo così decisivo per via del numero limitato di intercettori. Infine, i sovietici si resero conto che i missili balistici imbarcati sui sottomarini nucleari (gli SLBM) costituivano un’ottima alternativa in termini di sorpresa e vicinanza agli obiettivi nemici al molto più complesso FOBS.

Il ritiro dal servizio
Nonostante tutto, i sovietici, probabilmente più per motivi propagandistici che altro, mantennero in servizio i loro R-36O. Nel 1979, tuttavia, vennero ratificati i trattati SALT-II, che tra le varie cose proibivano i sistemi FOBS. Quindi, nel gennaio 1983, l’ultimo missile fu ritirato dal servizio, mentre parte dei silos di lancio vennero smantellati (probabilmente un terzo furono riconvertiti per essere utilizzati con varianti spaziali dell’R-36, ma non è certo).
GR-2: la riscossa di Chelomei
Genesi del GR-2
Il FOBS ha avuto una sorta di “fratello maggiore”, molto poco conosciuto. Più o meno nello stesso periodo, infatti, venne emesso dai vertici militari un altro requisito, chiamato GR-2, relativo ad un missile balistico superpesante capace di trasportare una testata nucleare da 100 megatoni oppure mettere in orbita testate nucleari multiple. I concorrenti, anche stavolta, furono esattamente gli stessi del GR-1. Vediamoli brevemente.
- Korolev: propose direttamente il colossale razzo lunare N1. Nota: questo era alto 105 metri e pesava 2.750 tonnellate al lancio (quanto una nave).
- Yangel: la sua proposta consisteva nell’R-46, un colosso che con l’aggiunta di un ulteriore stadio (R-56) avrebbe potuto concorrere per il ruolo di “razzo lunare” sovietico.
- Chelomei: propose un missile chiamato UR-500, che utilizzava componenti comuni al già citato UR-200 (i due missili facevano parte di un progetto molto ambizioso, che avrebbe costituito un’intera famiglia di lanciatori. Per la cronaca, la variante lunare sarebbe stata l’UR-700, una cosa improponibile rimasta sulla carta).

La fine del GR-2…
Il GR-2 è strettamente legato al programma lunare sovietico, un argomento che meriterebbe un libro a parte e che qui non approfondisco. Gli stessi missili presentati erano progettualmente delle varianti del “razzo lunare” (nel caso di Korolev era esattamente lo stesso). Dopo la caduta di Khrushchev, nel 1964, il progetto GR-2 venne sostanzialmente abbandonato senza troppo clamore, probabilmente a causa degli elevatissimi costi previsti. Al riguardo, è utile ricordare un aneddoto con protagonisti Chelomei e Khrushchev. Il progettista aveva inviato il premier sovietico a Baikonur, per mostrargli una copia del suo UR-500, i veicoli trasportatori e un modellino del silo di lancio. Il commento di Khrushchev fu lapidario: “Cosa dovremmo costruire, il comunismo o i silos per l’UR-500?”. Per la cronaca, la versione militare dell’UR-500 era alta oltre 46 metri e pesava al lancio quasi 600 tonnellate.
…E la nascita del Proton
I tre progetti presentati ebbero destini molto diversi. L’R-46 di Yangel rimase sulla carta, anche se la variante “razzo lunare” R-56 venne trovata estremamente valida. L’N1 di Korolev fu il lanciatore su cui i sovietici puntarono per portare l’uomo sulla luna, ma a causa di un micidiale cocktail di gelosie, politica e problemi tecnici non funzionò mai come avrebbe dovuto (in altre parole: gli N1 esplodevano poco dopo il lancio).
L’UR-500 fu l’unico che “ce la fece”: il progetto fu sottoposto alla già citata commissione Keldysh, che lo trovò valido come lanciatore spaziale pesante. Dagli anni sessanta, continuamente aggiornato ma sempre spinto da propellenti altamente tossici, l’UR-500 trasporta in orbita tutti i carichi più pesanti dell’Unione Sovietica e della Federazione Russa, oltre che di decine di altri Stati ed enti internazionali. Solo che nessuno lo ricorda più con la sua designazione originale, ma lo chiamano tutti con un altro nome: lanciatore Proton.

Gli americani e il FOBS
In tutto questo, una domanda sorge spontanea: cosa ne pensavano gli americani di questo sistema? Lo ritenevano una minaccia o tutto sommato lo consideravano una delle tante armi dell’immenso arsenale sovietico?
La risposta esatta è la due! Fin dai primi anni sessanta la CIA iniziò a sospettare che i sovietici stessero lavorando su un sistema da attacco atomico orbitale, ma non si preoccuparono più di tanto: un’arma del genere, a loro avviso, non avrebbe avuto chissà quali vantaggi rispetto ai normali ICBM, e l’unica vera utilità avrebbe potuto essere propagandistica o politica. Anzi, per dirla tutta, gli stessi analisti della CIA erano abbastanza scettici sul fatto che l’Unione sovietica stesse effettivamente sviluppando un sistema del genere! Anche quando vennero osservati i test di lancio, ci fu sempre il dubbio che si trattasse di normali ICBM con traiettorie “strane”.
Gli americani quindi, nell’ambito dei vari “asset” nucleari sovietici, non considerarono il FOBS una minaccia significativa, tanto che non ne misero mai in dubbio nemmeno la liceità nell’ambito del già citato Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico del 1967. Anche il fatto degli attacchi a sorpresa non li preoccupò: oltre a sostenere (nel 1963!) che i loro radar fossero già in grado di avvistare un FOBS con mezz’ora di anticipo, erano molto fiduciosi nello sviluppo dei nuovi sistemi di allerta missilistico, e continuarono ad investire massicciamente su di essi.
Alla fine, quindi, gli americani considerarono il GR-1 per quello che effettivamente era: un sistema d’arma unico, molto complesso, impreciso, schierato in numero ridotto e di dubbia utilità militare.
Dati tecnici
- Progettista: Mikhail Yangel
- Costruttore: Industria di Stato
- Tipologia: sistema da bombardamento atomico orbitale
- Primo volo: 16 dicembre 1965
- Ingresso in servizio: 19 novembre 1968
- Ritiro dal servizio: gennaio 1983
- Lunghezza: 32,6 – 34,5 m
- Diametro: 3 m
- Peso al lancio: tonnellate
- N. stadi: 3
- N. Testate: 1 (da 3 a 5 megatoni a seconda delle stime)
- Payload: 1.700 kg
- Gittata: 40.000
- CEP: 1.100-5.500 m
Fonti
- R-36O 8K69 – astronautix.com
- OGCh – astronautix.com
- UR-200 – astronautix.com
- GR-1 – astronautix.com
- R-36O – fas.org
- UR-200 – fas.org
- GR-1 – fas.org
- OGCh – skyrocket.de
- GR – 2 – astronautix.com
(Immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons. Credits: defenseimagery.mil. US Public Domain)