Classe Leninsky Komsomol

La grande fuga del K-53

Immaginate di trovarvi nel parcheggio di un centro sportivo. Siete nella vostra bella macchina a farvi i fatti vostri mentre aspettate che vostro figlio esca dopo la scuola calcio. Improvvisamente, un’altra macchina sbaglia manovra e vi centra in pieno. Poi prende e scappa, mentre voi increduli (e pure parecchio nervosi) uscite cercando ancora di realizzare cosa è successo.

Bene, ora sostituite il parcheggio con il Mar Mediterraneo, mettete al posto della vostra macchina una nave cargo sovietica ed al posto dell’altro veicolo un sottomarino. Nucleare, e sovietico pure lui.

Questo è più o meno quello cha accadde la sera del 18 settembre 1984, quando il sottomarino nucleare da attacco K-53 speronò per sbaglio la nave cargo Bratstvo, e si diede alla fuga dopo averlo fatto.

I comandi furono informati solo parecchie ore dopo il fattaccio, per il “disappunto” (chiamiamolo così) del ministro della difesa sovietico. La faccenda si concluse con lo smantellamento della Bratstvo, dato che non era riparabile, e con diversi ufficiali rimossi dall’incarico.

Andiamo a scoprire questa storia.

Le navi coinvolte

Il sottomarino nucleare K-53

Il K-53 era un sottomarino nucleare da attacco sovietico del tipo Progetto 671 Yorsh, conosciuto in Occidente con il nome in codice NATO di classe Victor I. Costruito a Leningrado (oggi San Pietroburgo), era entrato in servizio nel 1969 nella Flotta del Nord. Fu radiato il 30 giugno 1993.

Ho scritto un articolo proprio sulla classe Victor, quindi chi volesse approfondire può fare un salto lì. Vi riassumo brevemente le caratteristiche tecniche: quasi 4.700 tonnellate in immersione, 93 metri di lunghezza e 10 di diametro, con sei tubi lanciasiluri da 533 mm. La propulsione era assicurata da due reattori OK-300 da 72 MW l’uno, capaci di aumentare una turbina che scaricava sull’elica 31.000 hp. La velocità massima in immersione era di 33,5 nodi, poco più di una sessantina di km/h.

Classe Victor I in navigazione
Un Victor I in emersione. Il K-53 apparteneva aquesta classe. Immagine derivata da Wikimedia Commons. Credits: US Navy. US Public Domain

La nave cargo Bratstvo

La Bratstvo era una nave cargo a tre ponti da oltre 22.000 tonnellate. Apparteneva alla cosiddetta “classe Leninsky Komsomol“, o Progetto 567 in Occidente. Costruite in 25 unità, erano le prime navi mercantili sovietiche a montare un motore a turbina. Furono costruite tra il 1959 ed il 1968, ed erano lunghe circa 170 metri.

La sfortunata protagonista di questo articolo era entrata in servizio il 29 dicembre 1963, ed era registrata presso il porto di Odessa.

L’incidente

Veniamo ora al 18 settembre 1984. Siamo nel Mar Mediterraneo, nei pressi dello Stretto di Gibilterra. Più precisamente, nel cosiddetto Mare di Alboràn. Nota sull’ora: a bordo del sottomarino erano le ore 1:30 del 19 settembre, mentre l’ora locale indicava le 23:30 del 18. Per semplicità userò l’ora locale.

La collisione

Il K-53 aveva passato lo Stretto di Gibilterra in immersione ed era appena arrivato nel Mediterraneo. Quindi il capitano portò il battello a quota periscopica per controllare il funzionamento della radio. Tuttavia, alle 23:30 (1:30 ora di bordo), l’addetto al periscopio vide che c’era una nave sulla loro rotta. Nonostante l’ora ed il buio, infatti, la Bratstvo era ben visibile dato che viaggiava con tutte le luci di posizione accese (come da regolamento).

Il problema fu che l’addetto al periscopio ci mise ben tre minuti ad avvisare il comandante, capitano Yuri Skatov. Contemporaneamente, Skatov si rese conto che c’era un pericolo imminente grazie all’operatore sonar. A questo punto ordinò un’immersione rapida, ma era troppo tardi: la velocità troppo alta, la Bratstvo troppo vicina… La collisione fu inevitabile.

I danni sulla Bratstvo

Alle 23:33 ora locale, a bordo della Bratstvo si udì un boato, come se un’esplosione avesse scosso la nave. I danni furono enormi: la povera unità si ritrovò una falla di 5 metri per venti sulla fiancata, ed iniziò ad imbarcare tanta di quell’acqua che il suo capitano, tale Demchenkov, stimò che sarebbe affondata in un minuto.

Con un compartimento completamente allagato, senza propulsione (la sala macchine era allagata pure lei), la situazione era veramente disperata: l’illuminazione era saltata, e il comandante temeva che, visto il tipo di danno, la nave potesse rovesciarsi da un momento all’altro.

Improvvisamente, le cose iniziarono a girare per il verso giusto: dopo nemmeno mezzo minuto, i generatori di emergenza si attivarono, e le luci di bordo si riaccesero. Complessivamente, l’interruzione di corrente era durata non più di quaranta secondi.

Quindi, l’equipaggio fu in grado di calare le scialuppe ed abbandonare la nave in meno di dieci minuti.

La Bratstvo dopo la collisione

Ma gli uomini furono molto fortunati perché la Bratstvo non solo non si rovesciò, ma non affondò nemmeno: la nave, infatti, fu “salvata” dal suo stesso carico, ovvero grano, che la tenne a galla. Oltretutto, il tempo era ottimo. Inoltre, non ci fu nemmeno un ferito tra l’equipaggio.

Dato che l’SOS era stato lanciato immediatamente e quella era (ed è tuttora) una zona di mare molto trafficata, diverse navi accorsero subito per aiutare il vascello in difficoltà. La prima fu la bulgara Pyatiero iz PMS, che iniziò a mettere in salvo l’equipaggio. Successivamente, gli uomini furono tutti trasbordati sulla sovietica Captain Medvedev, che giunse poco dopo.

E la Bratstvo?

Prima di tutto, Demchenkov ordinò di tenere una scialuppa vicino alla nave, in modo da evitare che fosse saccheggiata. Dopodiché si attivò subito per trovare un rimorchiatore.

Ne trovarono uno spagnolo, che portò la Bratstvo ad arenarsi su un basso fondale nella baia di Gibilterra.

Va detto che il capitano della nave, e pure tutto l’equipaggio, fino a quel momento era convintissimo che si fosse trattato di un’esplosione. Del resto, un danno del genere era perfettamente compatibile, almeno secondo la sua ottica.

Tuttavia, dovette cambiare idea dopo che i sommozzatori spagnoli ebbero ispezionato la falla dello scafo: vederli riemergere mentre, con pezzi di gomma (probabilmente resti dell’isolamento acustico dello scafo del K-53) in mano urlando “sommergibile russo” non dovette essere stato piacevole…

E il K-53 che fine aveva fatto?

La fuga del K-53 dopo la collisione

Subito dopo la collisione, Skatov diede ordine di allontanarsi in immersione alla massima velocità possibile. Tuttavia, anche il K-53 aveva subito danni, e pure ingenti: lo scafo esterno a prua, praticamente, era un enorme ammasso di rottami, ed erano rimasti danneggiati anche la strumentazione idroacustica ed i tubi lanciasiluri. Insomma, non era stata priva di conseguenze.

Il problema fu che il capitano Skatov ci mise nove ore ad avvertire il comando! A quel punto, la marina inviò un’officina galleggiante, la PM-24 (classe Oskol II, 89 metri per 2.700 tonnellate. Come si vede, era più piccola del sottomarino), che aiutò il K-53 a raggiungere il porto tunisino di Hammamet. Qui, il K-53 fu preso in consegna da una nave da pattugliamento che lo accompagnò alla sua base per le indispensabili riparazioni. Cosa importante: l’apparato propulsivo del sottomarino nucleare era integro e perfettamente funzionante, quindi il K-53 riuscì a svolgere il penoso viaggio verso casa con le sue sole forze.

Classe Oskol
Una nave appoggio della classe Oskol, la PM-26 (identica alla PM-24), dello stesso tipo di quella che fornì assistenza al K-53. Fonte: Wikimedia Commons. Credits: US Navy. US Public Domain

Conseguenze della collisione tra il K-53 e la Bratstvo

La Bratstvo era praticamente da buttare: i danni erano tali che non conveniva ripararla. Quindi, fu rimorchiata al porto spagnolo di Algeciras e lì demolita l’anno successivo.

Nelle forze armate sovietiche le cose furono un po’ più complicate.

I primi ad essere informati dell’incidente furono i funzionari del Ministero degli Esteri sovietico, dato che gli fu riferito dagli stessi spagnoli.

La marina invece era all’oscuro di tutto, dato che il K-53 non aveva comunicato nulla (come vi ho detto, il capitano Skatov informò i superiori ben nove ore dopo). Quando finalmente l’ammiraglio Mikhailovsky, comandante della Flotta del Nord, fu informato dal suo capo di stato maggiore, naturalmente avvisò subito i vertici delle forze armate.

Ma ormai era tardi.

Il Ministro della Difesa, maresciallo Dimitry Ustinov, era giustamente furioso per questo ritardo, ed ordinò un’inchiesta.

Il capitano Skatov, comandante del K-53, venne rimosso dall’incarico con accuse molto gravi: era emerso dove non avrebbe dovuto, in mezzo ad una rotta trafficata, ignorando le buone pratiche marinare e trascurando le dovute misure precauzionali. Inoltre, a bordo vi erano stati grossi problemi organizzativi e di comunicazione tra i vari membri dell’equipaggio, cosa di cui fu ritenuto responsabile.

Il retroammiraglio (l’equivalente nei gradi della Marina Italiana è contrammiraglio) Gorev, comandante della divisione subacquea a cui apparteneva il K-53, venne rimosso anche lui dall’incarico.

L’ammiraglio Sergey Gorshkov (all’epoca 75enne) fu trasferito presso il Gruppo di Ispettori Generali, un organo in cui venivano inviati alti ufficiali al termine della loro carriera. Qui potevano continuare a mantenere stipendio ed onori, ma in pratica erano privi di qualunque incarico. Cosa curiosa: questo organo era soprannominato “gruppo paradiso”.

L’ammiraglio Mikhailovsky, comandante della Flotta del Nord, ricevette un rimprovero.

Le varie versioni sull’incidente

Su questo incidente, nel tempo, sono circolate ben tre versioni.

Una è quello che accadde, la cosiddetta “realtà storica” che è stata ricostruita in base ai rapporti ed alle testimonianze dei diretti interessati, ed è quella che vi ho raccontato in questo articolo.

Poi c’è la versione sovietica. I sovietici non ammisero mai che si era trattato di una collisione. Il rapporto ufficiale, infatti, riportò di un’esplosione a bordo. Solo negli anni 2000 i relativi rapporti furono desegretati, e si poté ricostruire la storia dell’incidente.

Infine, c’è la versione del capitano Demchenkov, comandante dello sfortunato mercantile Bratstvo. Secondo lui, infatti, il K-53 al momento della collisione non sarebbe stato a quota periscopica, ma in superficie: questo in base ai danni visibili sia sul sottomarino nucleare, sia sulla nave. La sua testimonianza va tenuta nella giusta considerazione, dato che Demchenkov era stato imbarcato sui sottomarini nucleari, e li conosceva piuttosto bene.

Fonti

(immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons. Credits: PH2 K. Brewer. US Public Domain)

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