Il cannone di Parigi (Parisgeschütz in tedesco) è stato un gigantesco pezzo d’artiglieria tedesco della prima guerra mondiale, capace di sparare oltre 100 kg di proiettile ad una distanza massima stimata di 130 chilometri. I tedeschi lo usarono per colpire Parigi, più che altro come arma psicologica che per un reale motivo militare. Questo gigante il più grande cannone della sua epoca, ed uno dei più grandi mai costruiti. Tecnicamente, si trattò di qualcosa di assolutamente unico e per l’epoca decisamente avveniristico (e pure oggi non è che tutti gli aspetti tecnici siano chiarissimi).
Genesi del progetto
Prima guerra mondiale. I tedeschi erano quasi riusciti a conquistare Parigi. Quasi. Il loro perfetto piano d’attacco, infatti, non si era rivelato poi così perfetto: variazioni rispetto all’originario Piano Schlieffen, errori durante la realizzazione, indecisioni dei comandi, oltre che la resistenza anglo-francese, avevano consentito all’Intesa di bloccare i teutonici sulla Marna e di respingerli a distanza di sicurezza dalla capitale francese. Il fronte si era quindi stabilizzato ad un centinaio di chilometri. Tuttavia, per i tedeschi colpire Parigi era una priorità: la capitale nemica è sempre un obiettivo. Il problema era che, nel 1915, i missili ancora non esistevano, e quindi l’unico modo restava il bombardamento aereo. Usare un cannone era escluso, viste le distanze: all’epoca, infatti, gittate oltre i 40 km erano considerate fantascienza.
Fino al giorno in cui qualcuno fece un errore.
Germania. Un giorno, un proiettile d’artiglieria atterrò nel giardino di un parroco. Il posto era poco fuori un poligono della Krupp, dove la ditta tedesca provava i cannoni, ma era comunque abbondantemente a distanza di sicurezza. La cosa era inspiegabile, perché il proiettile in questione aveva avuto una gittata maggiore del 20% rispetto a quanto previsto. Quindi, un balistico di nome Eberhard si mise al lavoro per cercare di capire cosa fosse successo: e scoprì che qualcuno aveva fatto un errore. Un ignoto puntatore, infatti, aveva sparato con un angolo di tiro particolarmente elevato, di circa 55 gradi. Presa carta e penna (i computer all’epoca non c’erano) e fatti i dovuti calcoli, Eberhard scoprì una cosa che ai balistici, fino a qual momento, era sfuggita (oppure non avevano considerato rilevante): se si spara con un angolo di tiro particolarmente elevato, diciamo superiore ai 45 gradi, ed il proiettile ha un’alta velocità iniziale, arriva rapidamente negli strati alti dell’atmosfera, dove incontra meno resistenza per via della rarefazione dell’aria. E se mantiene una velocità elevata, la gittata aumenta.
Questa era la teoria. Per metterla in pratica bisognava “solo” costruire il cannone.
Sviluppo e tecnica del cannone di Parigi
L’alto comando tedesco era ovviamente molto interessato ad un’arma a lunghissima gittata, quindi la Krupp si mise al lavoro. Sotto la direzione del Dott. Rausenberger, Eberhard iniziò a progettare il cannone. Dopo una serie di calcoli e simulazioni, si giunse alla conclusione che un’arma capace di sparare un proiettile da 210 mm a 1.650 metri al secondo sarebbe stata l’ideale. Del resto, non è che i progettisti avessero molto margine: un proiettile più grande avrebbe implicato un cannone di dimensioni maggiori, che non era realizzabile. Il 210 mm venne ritenuto abbastanza potente da fare danni ma non troppo grosso da porre problematiche tecniche insormontabili. Vediamo in dettaglio di cosa si trattava.
Il proiettile. Come detto sopra, si trattava di un 210 mm, dal peso di 105-120 kg e particolarmente aerodinamico. I progettisti, inoltre, vi implementarono una serie di soluzioni per renderlo resistente alle sollecitazioni. Per spararlo, si dovette ricorrere ad una carica di lancio speciale, grande tre volte il normale e che venne progettata ex novo dalla ditta Nobel.

La canna. Prima ho accennato all’impossibilità di usare un proiettile più grande per motivi tecnici. Parafrasando una vecchia pubblicità, “per un proiettile grande ci vuole un cannone grande”. E il cannone di Parigi era già grosso di suo. Per prima cosa, i progettisti presero la canna di un cannone navale (ovviamente Krupp) da 380 mm, e ci inserirono un tubo che portò il diametro interno a 210 mm. Questo “tubo” era più lungo di quasi 4 metri rispetto ai 16 abbondanti del 380 mm originario, e la parte sporgente venne usata per “incastrarci” un’estensione di 12 metri: per farla breve, la lunghezza complessiva della canna raggiunse i 34 metri. In questo modo, sarebbe stata abbastanza resistente da permettere l’utilizzo delle cariche speciali (oltre che sopportare la sua stressa lunghezza senza piegarsi. 34 metri sono tanti), ed abbastanza lunga da garantire una precisione decente.
L’affusto. Oltre a tutte le questioni tecniche elencate sopra, ce ne sta un’altra da non sottovalutare: muoverlo. Per quanto riguarda il peso, ci sono dati abbastanza contrastanti, ma il valore più ricorrente sembrerebbe essere 750 tonnellate tutto incluso (canna e affusto). Ma come lo muovevano? Via treno. In pratica, era trasportato su un vagone ferroviario appositamente attrezzato, e poi veniva sistemato in una sorta di alloggiamento con un supporto girevole. Non era un cannone ferroviario vero e proprio, ma piuttosto un cannone navale movimentato tramite ferrovia.

Una curiosità: visto che il 380 mm utilizzato per la canna era un cannone navale, il cannone di Parigi venne considerato nello stesso modo: comandato da un viceammiraglio e azionato da 80 uomini della marina.
Il cannone di Parigi inizia a sparare
Zona di Crépy, 23 marzo 1918. Diverse batterie di cannoni “convenzionali” stavano già sparando, in modo da creare una barriera di rumore. Il Parisgeschütz era parecchio rumoroso, e bisognava fare in modo che gli anglo-francesi non lo potessero individuare grazie al boato di sparo. Poi, poco dopo le sette di mattina, il viceammiraglio Rogge, comandante del cannone, ordinò di aprire il fuoco. Il proiettile, come previsto, uscì dalla canna a 1.650 metri al secondo, raggiunse i 42 km di altezza e dopo tre minuti di volo atterrò su Parigi, su Quai de la Seine. Il boato venne udito per tutta la città: erano le 7:18 di mattina. Il cannoneggiamento continuò praticamente tutto il giorno: 21 colpi sparati complessivamente, al ritmo di uno ogni quarto d’ora, più o meno.
I francesi all’inizio non ci capirono nulla. Il primo pensiero fu per un bombardamento aereo, ma il cielo era completamente sgombro: per tutto il giorno non c’era stata l’ombra di un Gotha o uno Zeppelin. Poi pensarono a dei sabotatori tedeschi in giro per la città. Solo dopo che ebbero raccolto i vari frammenti dei proiettili si resero conto di avere a che fare con un cannone. Quindi, iniziarono a cercare un pezzo di artiglieria nascosto nelle vicinanze, magari in qualche cava abbandonata, portato lì da un gruppo di incursori allo scopo di seminare il panico: il fronte era pur sempre a 100 km, e non esisteva un cannone con una gittata simile. O almeno così pensavano… La situazione si chiarì qualche giorno dopo, quando un ricognitore avvistò il cannone di Parigi a circa 120 km di distanza.
I francesi lo chiamarono Grande Bertha, usando in pratica lo stesso nome dell’obice da assedio che nel 1914 aveva raso al suolo le indistruttibili fortificazioni di Liegi. Questo nome è usato ancora oggi. Erroneamente, visto che indica un cannone completamente diverso.
Il cannone venne utilizzato tra il marzo e l’agosto 1918, seminando il panico nella capitale francese. I suoi colpi uccisero circa 250 parigini, ferendone 620. L’episodio peggiore ci fu il 29 marzo: era un Venerdì Santo, e nella chiesa di St-Gervais-et-St-Protais era in corso una funzione. Un colpo del Parisgeschütz colpì il tetto facendolo collassare sui fedeli: i morti furono 91, ed i feriti 68.

Usandolo però, i tedeschi si accorsero di un problema, che inizialmente non avevano considerato (o almeno non avevano valutato in tutta la sua gravità): l’usura della canna. Chiariamoci, tutte le armi da fuoco hanno questo problema, tanto che dopo un certo numero di colpi la canna deve essere ritubata o sostituita. Il problema è la rapidità con cui si usura. Nel caso del cannone di Parigi, l’usura era clamorosa. L’elevata velocità del proiettile, infatti, provocava l’asportazione ad ogni colpo di notevoli quantità di materiale, tanto che dopo una sessantina di tiri il diametro interno passava da 210 a 238 mm: un aumento di quasi tre centimetri! Praticamente un altro cannone…
I tedeschi riuscirono a gestire questo inconveniente: calcolarono l’usura dopo ogni sparo (quasi mezzo millimetro) ed usarono proiettili di diametro crescente, che dovevano essere inseriti nella canna in rigoroso ordine (infatti erano numerati). Inoltre, visto che le differenze fisiche dovute all’aumento di diametro avrebbero provocato variazioni di gittata e velocità, fu necessario variare la carica di lancio per ogni singolo colpo. Per farla breve: il cannone di Parigi sparava 65 colpi in sequenza, tutti diversi tra loro per diametro e carica di lancio, poi la canna veniva smontata e sostituita con una nuova, con un nuovo set di proiettili. La vecchia canna era rispedita alla Krupp, la quale provvedeva a ritubarla (o buttarla se eccessivamente usurata). Gli errori non erano consentiti: inserire un proiettile sbagliando sequenza avrebbe provocato l’esplosione del colpo in canna (cosa che pare sia accaduta una volta).
Le operazioni di puntamento erano diverse da qualunque altro cannone costruito fino a quel momento. Infatti, per la prima volta fu necessario considerare, nei tiri d’artiglieria, la forza di Coriolis, ovvero l’effetto della rotazione terrestre sui corpi che si muovono ad alte velocità sui lunghi percorsi (tipo il proiettile del nostro cannone, che viaggiava a 1.650 metri al secondo per colpire un bersaglio distante 120 km). Non considerare questa forza, avrebbe diminuito la già scarsa precisione di oltre un chilometro.
Nel mese di agosto, il Parisgeschütz smise di sparare: il fronte si stava avvicinando troppo alla sua postazione, e per evitarne la cattura i tedeschi lo smontarono e lo portarono via (o lo distrussero. Chissà).
Ma quanti ne furono costruiti? Premettendo che si tratta (ancora oggi) di un’arma non del tutto conosciuta, vi sono delle fonti che riportano cifre assolutamente inverosimili. Infatti, spesso confondendolo con la Grande Bertha (che, come detto prima, era un obice da assedio e che non c’entrava niente con il cannone di Parigi), alcuni parlano di una batteria di tre esemplari operativi, 10 costruiti in tutto e quasi 900 colpi sparati! La realtà è molto diversa. In realtà, fu costruito un solo affusto, con 3 bocche da fuoco. Probabilmente, alla resa della Germania, qualche altro esemplare era in costruzione (ma non è chiaro se si trattasse di cannoni completi o di canne sfuse). I colpi sparati, alla fine, furono tra i 320 e i 367.
Il dopoguerra
Dopo la resa della Germania, le potenze vincitrici erano molto interessate a questa arma eccezionale (al contrario di altri mezzi del dissolto Impero Tedesco), tanto che nel Trattato di Versailles richiesero esplicitamente che venisse consegnato un esemplare completo.
Il problema è che i tedeschi non solo distrussero l’unico pezzo costruito, ma fecero sparire anche tutta la documentazione tecnica. E, ovviamente, la Krupp non costruì per gli Alleati nessun cannone. Tutto ciò su cui le potenze vincitrici riuscirono a mettere le mani fu una delle piattaforme con supporto girevole utilizzata per i tiri.

In effetti, nonostante le fotografie e le testimonianze, il cannone di Parigi rimase a lungo un oggetto misterioso, con dati che variavano molto a seconda delle fonti. I dettagli vennero alla luce solo negli anni ottanta, quando fu ritrovato un lungo documento scritto più di sessant’anni prima dal Dott. Rausenberger, responsabile del progetto. In questo testo, che oggi costituisce la nostra fonte primaria sul Parisgeschütz, venivano chiariti tutta una serie di dettagli tecnici ed operativi.
Il primo a riportare questo scritto fu un certo Gerald Bull, un ingegnere canadese esperto in artiglierie a lunga gittata, che scrisse un libro sul cannone di Parigi. Bull era un vero vulcano di idee: tra i suoi tanti progetti, ideò un sistema per portare i satelliti in orbita usando un cannone. Il suo ultimo lavoro fu il Progetto Babilonia, un supercannone per il dittatore Saddam Hussein. Ma questa è un’altra storia.
I tedeschi, comunque, non abbandonarono la loro passione per i supercannoni. La teoria esisteva, le competenze pure (la Krupp), e con l’avvento del nazismo ricominciarono a costruirli. L’evoluzione finale fu il gigantesco Gustav, capace di sparare proiettili da sette tonnellate, anche se a distanze “normali”. Continuando a parlare dei cannoni a lunghissima gittata, la Krupp realizzò tra il 1938 ed il 1940, due cannoni ferroviari, i 21cm K12 (E): diretti eredi del Parisgeschütz, avevano una canna di oltre 30 metri ed un calibro di 210 mm, ma una gittata inferiore (“appena” 115 km). In compenso, il problema dell’usura della canna era stato risolto ed erano molto più mobili, visto che erano cannoni ferroviari. Inquadrati nella Artillerie-Batterie 701 (E), lungo il Canale della Manica, passarono tutta la guerra a cannoneggiare le isole britanniche.

Infine, non si può non citare il Krupp K5. Si trattava di un normale cannone ferroviario da 280 mm, costruito in 25 esemplari per l’esercito tedesco ed utilizzato su tutti i fronti (Italia inclusa. Due esemplari furono usati per cannoneggiare la testa di ponte di Anzio. I tedeschi li tenevano al riparo dai bombardamenti dentro la galleria della ferrovia Roma-Frascati). La loro gittata era di oltre 60 km con munizioni normali e 86 km con proiettili razzo-assistiti. Tuttavia, un paio furono modificati con una canna da 310 mm, per sparare i cosiddetti Peenemünder Pfeilgeschosse: proiettili da 120 mm con alette stabilizzatrici, che durante i test raggiunsero i 151 km di gittata.

Considerazioni operative del cannone di Parigi
Il cannone di Parigi fu un’arma unica, che è entrata nell’immaginario collettivo. Abbiamo visto le sue caratteristiche e le problematiche di impiego. Ma fu un’arma efficace? La risposta è: dipende.
Se consideriamo l’aspetto prettamente distruttivo, la risposta è no. Sparare un massimo di 20 colpi al giorno su una città non ti fa vincere una guerra. Anche perché, parliamoci chiaro, la precisione era bassissima, ed i proiettili a volte non colpivano nemmeno la città (e Parigi non è esattamente un borgo).
Ma i tedeschi non volevano distruggere Parigi: il loro obiettivo infatti, non era tanto la città quanto piuttosto il morale dei suoi abitanti. E se andiamo a considerare il Parisgeschütz un’arma psicologica, allora fu un successo: un “terrore silenzioso” da cui non ci si poteva difendere, che generava panico e insicurezza, esattamente come avrebbero fatto le V2 tedesche su Londra, un quarto di secolo dopo.
Dati tecnici
- Progettista: Eberhard
- Costruttore: Krupp
- Tipologia: cannone di marina movimentato tramite ferrovia
- Ingresso in servizio: 1918
- Esemplari costruiti: 1
- Peso: 750 tonnellate
- Lunghezza della canna: 34 m
- Calibro: 210 mm
- Peso proiettile: 105-120 kg
- Velocità proiettile: 1.650 m/s
- Gittata: 132 km
Fonti
- La storia e le foto del cannone di Parigi – www.panorama.it
- Cannoni famosi – Il limite di velocità dei proiettili – www.earmi.it
- I grandi cannoni della grande guerra – www.aspeterpan.com
- Il primo bombardamento di Parigi – I segreti della storia
- Krupp K5 – www.one35th.com
(immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons. Credits: powidl. Public Domain)