Battaglia di Los Angeles è il nome con cui è conosciuto un episodio abbastanza curioso accaduto nella notte tra il 24 ed il 25 febbraio 1942, in piena seconda guerra mondiale: la contraerea statunitense, in preda al “nervosismo di guerra” e con il terrore di un’invasione giapponese, passò ore a sparare “al nulla” convinta che la città di Los Angeles fosse sotto un’incursione nemica.
Ovviamente, la faccenda non fu così semplice: la marina chiarì subito che era stato un falso allarme, mentre l’esercito (da cui dipendeva la difesa aerea) continuò a sostenere che “qualcosa” stava volando sopra la città. In mezzo a questo caos, trovarono spazio anche diverse teorie della cospirazione, tra cui quella dei dischi volanti alieni.
La questione, almeno per le forze armate statunitensi, si chiuse nel 1983, quando un rapporto chiarì che tutto era stato provocato da un pallone sonda.
Questa vicenda ha ispirato un film di Steven Spielberg, 1941 – Attacco a Hollywood, del 1979.
Vediamo di approfondire meglio cosa accadde quella notte di febbraio del 1942.
Contesto storico
Che durante la seconda guerra mondiale le più potenti forze armate del mondo passino un’intera notte a sparare al nulla in preda al nervosismo di guerra, oltretutto sopra una città statunitense, può sembrare incredibile. In realtà, se andiamo ad esaminare meglio i fatti, la cosa non è così strana.
Prima di tutto, il periodo. Gli Stati Uniti erano stati aggrediti dall’Impero Giapponese, che stava avanzando nell’Oceano Pacifico senza che nessuno riuscisse a contrastarlo, sconfiggendo a ripetizione tutto quello che statunitensi, britannici, olandesi ed australiani provavano a parargli davanti. Oltretutto, non bisogna dimenticare Pearl Harbour, dove la flotta americana era stata aggredita e distrutta dall’aviazione nipponica. Inoltre, come se non bastasse, parecchie navi da trasporto americane erano state affondate dai sommergibili giapponesi nelle acque territoriali statunitensi…
Insomma, gli americani non erano esattamente nella situazione psicologica migliore. A questo poi bisogna aggiungere che i reparti non erano nemmeno tanto addestrati, c’erano problemi di coordinamento ed i falsi allarmi si susseguivano di continuo. Qualche esempio:
- negli studi californiani della Disney c’erano ben 500 soldati, messi lì per difenderli da sabotaggi o attacchi giapponesi;
- in Alaska le città costiere venivano oscurate durante la notte, per timore di incursioni notturne;
- oscuramento notturno a Seattle;
- ad Oakland, oltre all’oscuramento, vennero anche chiuse le scuole.
Insomma, in tutta la West Coast statunitense vi era una vera e propria psicosi, alimentata da voci incontrollate su portaerei nipponiche che incrociavano minacciose al largo, sommergibili con incursori, navi da sbarco e simili. Per farla breve, gli Stati Uniti consideravano verosimile un attacco su vasta scala, o addirittura un’invasione del territorio nazionale.
L’impresa del sommergibile I-17
Come se non bastasse, tanto per aggiungere un po’ di tensione, il 23 febbraio 1942, un sommergibile giapponese si mise a cannoneggiare una raffineria sulla costa californiana. Si trattava dell’I-17, un battello da 108 metri e 3.600 tonnellate in immersione, che con il suo cannone passò una ventina di minuti a bersagliare la struttura petrolifera.
Gli americani andarono nel panico più totale: era chiaro che si trattava dei preparativi per un’invasione, mentre voci incontrollate (alla Fantozzi, per capirsi) riportavano che in realtà si sarebbe trattato di un cacciatorpediniere, se non addirittura di un incrociatore!
In realtà le cose stavano molto diversamente.
L’iniziativa di bombardare la raffineria di Ellwood (vicino Santa Barbara) venne presa dal comandante dell’I-17, il capitano Kozo Nishino. Il comando giapponese gli aveva ordinato di “bombardare qualcosa” sulla costa, giusto per creare scompiglio.

I danni furono minimi: il sommergibile era mosso dalle onde, e mirare non era facile. Oltretutto, era pure buio… Insomma, per farla breve i giapponesi spararono dalle 12 alle 25 granate, distruggendo una gru ed una stazione di pompaggio. Totale dei danni: 500 dollari dell’epoca, più o meno 8.000 attuali, e nessun ferito.
Dopo venti minuti, i giapponesi se ne andarono. Con questa piccola azione i nipponici riuscirono perfettamente nel loro intento di seminare il panico.
Per la cronaca, si trattò del primo bombardamento navale sugli Stati Uniti continentali dal 1814.
La psicosi americana
Gli americani si resero conto che si era trattato di un sommergibile: del resto, aveva sparato un solo cannone. Tuttavia, erano convinti che l’I-17 si stesse dirigendo verso Los Angeles, e che fosse l’avanguardia di una forza di invasione, con i giapponesi pronti a sbarcare in massa sulle spiagge californiane.
Il giorno dopo, 24 febbraio, ci si mise anche l’intelligence navale: secondo le sue informazioni, i giapponesi avrebbero attaccato in massa la California entro 10 ore. A quel punto, il panico fu totale: centinaia di falsi allarmi, presunti avvistamenti di luci o aerei, movimenti sospetti intorno alle installazioni militari… Insomma, il caos assoluto.
Naturalmente, non c’era alcuna flotta di invasione giapponese in arrivo, e lo stesso I-17 non era affatto diretto verso Los Angeles, ma sulla strada di casa.
Con queste premesse, l’esercito americano si apprestava a combattere la battaglia di Los Angeles.
La battaglia di Los Angeles
I primi allarmi
Il 24 febbraio fu costellato di allarmi. Il primo venne lanciato alle 19:18, e durò fino alle 22:23. Ma la situazione precipitò poche ore dopo. Durante la notte, infatti, gli allarmi si moltiplicarono.
- Ore 2:15. Un radar individua un oggetto non identificato a circa 200 km dalla costa. Le batterie antiaeree vengono in stato di allerta, pronte al fuoco. Gli aerei rimangono a terra: l’aviazione, infatti, prima di far decollare gli intercettori vuole avere le idee più chiare.
- Ore 2:21. I radar iniziano ad avvistare “cose” in volo, e viene ordinato l’oscuramento totale dell’area. Le informazioni su presunti avvistamenti sono sempre più numerose, e mandano letteralmente in tilt il centro di controllo.
- Ore 2:43. “Aerei” vengono avvistati vicino Long Beach. Pochi minuti dopo, un colonnello dell’artiglieria individua ben 25 velivoli nemici in avvicinamento a 12.000 piedi di altezza (circa 3.600 metri).
- Ore 3:06. Un pallone aerostatico con appeso un bengala rosso viene avvistato sopra Santa Monica. Le batterie antiaeree aprono il fuoco. A quel punto, per usare le parole del rapporto del 1983, “l’aria sopra Los Angeles eruttò come un vulcano”.

Il pallone aerostatico
In realtà, le fasi iniziali della battaglia, ovvero “chi sparò per primo a cosa”, non sono chiarissime. L’ordine di far fuoco, secondo alcune fonti, arrivò alle 3:16. Probabilmente, le batterie erano già una decina di minuti che sparavano.
Ma perché iniziarono a sparare?
Abbiamo visto sopra il pallone aerostatico, che sarebbe stato avvistato dagli uomini dell’antiaerea e scambiato per un velivolo nemico. Ma che ci faceva un pallone in volo su Los Angeles in quella situazione?
Beh, incredibile a dirsi, lo avevano rilasciato gli stessi militari statunitensi! i reggimenti antiaerei, infatti, dovevano lanciare dei palloni per rilevamenti meteorologici ogni sei ore, e fu esattamente quello che fecero! Solo che, a causa della psicosi da attacco giapponese che avevano gli uomini dell’antiaerea, ne scambiarono uno per un aereo nemico.
Il “colpevole”, probabilmente, fu uno dei due palloni rilasciati alle tre del mattino dal 203° reggimento della Guardia Nazionale, e diligentemente comunicati al centro di controllo. Secondo le ricostruzioni, fu quello della Batteria D, di cui era responsabile il tenente Melvin Timm.

La battaglia di Los Angeles: il caos assoluto
Quella Notte a Los Angeles aprirono tutti il fuoco contro gli aerei immaginari. Non solo l’antiaerea: tutti.
Le batterie antiaeree spararono con tutte le loro armi, bersagliando i poveri palloni meteorologici, i bagliori prodotti dagli scoppi in aria dei loro stessi proiettili antiaerei e puntando “a caso” seguendo i fasci luminosi dei proiettori. Il più delle volte, in mancanza di un “bersaglio” (chiamiamolo così), i soldati spararono a caso verso l’alto.
Quella notte aprirono il fuoco, oltre ai cannoni dell’antiaerea, anche un cacciatorpediniere in secca (era in manutenzione in un cantiere) con le sue armi di bordo, ed in generale chiunque avesse un’arma più o meno grossa, inclusi semplici soldati con i mitra, che sparavano verso l’alto verso il nulla.
Gli unici che non si mossero furono gli aerei da caccia, che vennero tenuti a terra (e probabilmente questo salvò la vita a parecchi piloti).
Come si sarà capito, il caos era assoluto: gli animi di tutti erano sovraeccitati, e per oltre un’ora nessuno parve più ragionare.
I tentativi falliti di far cessare il fuoco
Gli uomini del 203° reggimento sapevano molto bene che era un falso allarme: del resto, il pallone meteorologico era il loro. Quindi, cercarono di far cessare il fuoco.
Invano.
Inizialmente, un caporale avvisò il tenente Timm che l’antiaerea stava sparando al loro pallone, e subito l’ufficiale avvertì il comandante del reggimento, colonnello Watson. Il quale, oltre a far cessare il fuoco alla sua unità, avvisò di corsa il centro di controllo.
Poco dopo, la tragedia diventò una farsa. I superiori iniziarono a rimproverare il povero Watson:
Perché il suo reggimento non sta sparando?
Centro di controllo
Perché state sparando al mio pallone meteo!
Watson
Non mi interessa, qui sopra è pieno di aerei giapponesi, aprite il fuoco!
Centro di controllo
Ma è il nostro pallone…
Watson
È un ordine!
Centro di controllo
Anche Timm cercò di spiegare la sua versione, ma fu minacciato di arresto. Le cose non finirono bene per il colonnello Watson, che fu rimproverato per aver dato l’ordine di sospendere il fuoco. L’ufficiale fu messo davanti a due alternative: finire dietro ad una scrivania o dare le dimissioni. Watson scelse le dimissioni.
Conseguenze della battaglia di Los Angeles
Il fuoco continuò fino alle 4:14, quando venne dato il cessato allarme. L’oscuramento terminò alle 7:21. Solo a quel punto iniziò la conta dei danni.
I danni
Quando si lancia qualcosa in aria, a meno che non abbia una velocità superiore agli 11,2 km/s (velocità di fuga dalla Terra), questa ricade. Cosa che fecero anche tutti i proiettili e le relative schegge sparati dall’antiaerea di Los Angeles, per non parlare delle granate inesplose. Tutta roba in metallo, e quindi piuttosto pesante.
Schegge e proiettili danneggiarono diversi edifici, uccisero alcune mucche al pascolo e provocarono cinque morti: due di infarto e tre per incidenti automobilistici, causati dal blackout e dal panico.
L’esercito sosteneva di aver abbattuto un certo numero di velivoli giapponesi, dei quali naturalmente non si trovò traccia.
Le polemiche
Nemmeno a dirlo, le polemiche infuriarono subito. Tralasciando i giornali che titolavano “Japs Bomb Los Angeles”, marina ed esercito, politici e commentatori cercarono di capire cosa era veramente successo.
Il Segretario della Marina Knox sostenne da subito che si era trattato di un falso allarme.
L’esercito inizialmente sposò la stessa teoria, supportata dai comandi aerei di zona (nota importante: all’epoca l’aviazione statunitense dipendeva dall’esercito, non era un’arma autonoma). Ma il Dipartimento della Guerra non era d’accordo: pochi giorni dopo, fece uscire un rapporto abbastanza ambiguo. Questo, tra una valanga di “forse”, “probabilmente”, ipotesi e verbi condizionali vari, concludeva che c’erano veramente degli aerei nemici (da uno a cinque) in volo sopra Los Angeles.
Nemmeno a dirlo, i giornali ci andarono a nozze. Cito direttamente il New York Times.
Se le batterie stavano sparando al niente, come implica il segretario (della Marina) Knox, è un segno di costosa incompetenza ed estremo nervosismo. Se, invece, le batterie stavano sparando ad aerei veri, alcuni dei quali a 2 700 metri, come dichiara il segretario (della Guerra) Stimson, perché sono state completamente inefficaci? Perché nessun aereo statunitense si è levato ad ingaggiarli, o anche solo a identificarli? (…) Che sarebbe successo se questo fosse stato un vero attacco aereo?
New York Times
La faccenda era molto grave, anche perché evidenziava la totale impreparazione della difesa aerea territoriale. Knox e Stimson furono anche convocati dal Congresso, ma rimasero sulle loro posizioni. Per la cronaca, lo sceriffo della contea di Los Angeles ed il responsabile della difesa aerea della zona sposarono la tesi dell’esercito.
La verità viene a galla
Esercito e marina rimasero sulle loro posizioni. In effetti, gli unici che avrebbero potuto chiarire la faccenda erano i giapponesi.
A guerra finita, i militari nipponici furono interrogati su questo evento. La loro risposta fu molto chiara: non c’era nessun velivolo, nave, aliante, pallone, canotto, sabotatore su Los Angeles. Insomma, nel caso ci fosse stato qualcosa in volo sopra la città quella notte, sicuramente non era roba loro (i palloni bomba ancora non esistevano).
La smentita non fece cessare le polemiche. Infatti, furono avanzate altre ipotesi, soprattutto complottiste e cospirative (che vedremo meglio nel prossimo capitolo).
La parola “fine” sull’intera faccenda la mise l’United States Force (USAF) nel 1983, quando fece uscire un rapporto frutto di lunghe ed accurate ricerche: la colpa era stata del nervosismo di guerra, e tutto era iniziato per colpa di un pallone sonda meteorologico.

Le ipotesi complottiste sulla battaglia di Los Angeles
Naturalmente, c’è chi non crede nel rapporto dell’USAF e ritiene che dietro ci sia ben altro, alimentate sia da privati cittadini, sia da giornali, sia da politici.
Una delle ipotesi alternative più in voga è che si sia trattato di un colossale montaggio: l’attacco ci fu, e fu opera degli stessi militari americani, ai quali “serviva una scusa” per rimuovere le industrie belliche dalla bassa California e spostarle in zone del Paese meno vulnerabili. Altre ipotesi riguardarono la necessità di terrorizzare due milioni di persone per non ben identificati motivi, oppure per fomentare l’odio verso i cittadini giapponesi residenti negli Stati Uniti e giustificarne l’internamento (nota: oltre 110.000 cittadini giapponesi o di etnia giapponese sul suolo statunitense furono internati in appositi campi di concentramento, per evitare che svolgessero attività di spionaggio e sabotaggio).
Infine, vi è anche un’ipotesi che tira in ballo gli alieni: i misteriosi velivoli in volo su Los Angeles in realtà sarebbero stati dei dischi volanti (girarono anche delle foto visibilmente ritoccate).

Fonti
- La volta che Los Angeles si credette attaccata – ilpost.it
- La battaglia di Los Angeles – segretidellastoria.wordpress.com
- The sub commander and the cactus myth, debunked – edhat.com
- Phantom Japanese Raid on Los Angeles During World War II – historynet.com
(immagine di copertina tratta da Wikimedia Commons. Credits: San Diego Air and Space Museum. Licenza libera)